Nella Giornata mondiale della sindrome di Down don Mauro Santoro della Consulta diocesana riflette a partire dall'esclusione di una ragazza in carrozzina da due scuole di Milano
di Stefania
CECCHETTI
Il primo giorno di primavera è anche la Giornata mondiale della sindrome di Down. Come di consueto, Coor Down, il Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sindrome di Down, onora la ricorrenza con una campagna video mondiale di sensibilizzazione. Quest’anno il filmato è veramente divertente (ma non meno profondo del solito). Si intitola «Ridicoulose excuse not to be inclusive» (scuse ridicole per non essere inclusivi) e raccoglie alcune delle scuse più assurde che le persone con sindrome di Down e i loro familiari si sono sentiti raccontare per giustificare l’esclusione da un’attività: dal corso di teatro le cui iscrizioni si sono chiuse, guarda caso, 10 minuti prima, alla riunione inaccessibile per mancanza di sedie, al problema dell’impreparazione della scuola a gestire «quei bambini lì».
Il caso
Storie di tuti i giorni. È proprio di un mese fa la notizia della ragazzina di terza media, disabile motoria a causa di un osteosarcoma, la cui iscrizione in due scuole superiori di grafica pubblicitaria di Milano, il Caterina da Siena e il Rizzoli, è stata rifiutata per problemi logistici: rispettivamente la mancanza di un ascensore funzionante e del personale necessario. Possibile che una ragazzina non possa frequentare la scuola che ha scelto perché un ascensore è rotto da anni?
«No, certamente no – risponde don Mauro Santoro, presidente della Consulta diocesana comunità cristiana e disabilità-O tutti o nessuno -. Non è possibile, ma non dobbiamo cadere in una lettura ideologica. Voglio dire: può accadere che una scuola, o in generale una struttura, sia sprovvista del necessario per essere inclusiva e che la richiesta esterna metta in luce delle mancanze. La cosa peggiore, però, è come vengono gestite queste mancanze: come una scusa che auto-legittima il rifiuto, invece che come uno stimolo a fare un percorso per trasformare quel luogo in un posto inclusivo, cioè accessibile a tutti. È questo il fatto grave».
Secondo don Santoro, poi, le barriere architettoniche sono uno scudo che inconsapevolmente ergiamo a nascondere altre barriere, quelle che si trovano dentro di noi: «L’ostacolo più subdolo – spiega -, quello che non ci confessiamo, ma che poi si manifesta in diversi modi, è ritenere che, in fondo, la vita di quella persona valga un po’ di meno. E questo è terribile». Ancora peggio, però, c’è il pietismo: «Quel sottinteso “che ci posso fare io?” cela un pietismo offensivo – sostiene il sacerdote – che lascia intuire come la condizione di disabilità sia, in ultima analisi, una colpa. Non credo si arrivi ai livelli del Vangelo del cieco nato, che abbiamo sentito in queste domeniche di Quaresima, per cui la disabilità è vista come espressione di un peccato. Però, nonostante una certa solidarietà superficiale, la realtà è che spesso le persone con disabilità sono lasciate a loro stesse».
Sul video di Coor Down don Santoro dice: «È bellissimo perché mette in evidenza, in modo scherzoso, le scuse imbarazzanti che le famiglie di persone disabili sono fin troppo abituate a sentire. Penso che potrebbero riempirci dei libri, con quelle scuse. Questo ci dice molto sul tema dell’ascolto del genitore e delle famiglie, anche in contesti parrocchiali. Io consiglio sempre: non inventiamo scuse, ma nemmeno promettiamo l’America; i genitori e i ragazzi hanno sviluppato una sensibilità tale da essere allergici sia alle scuse imbarazzanti, sia alle false promesse. Piuttosto, facciamo capire quanto la presenza di quel ragazzo ci stia a cuore, prendiamo atto delle mancanze strutturali e offriamo di impegnarci, insieme alla famiglia, per trovare una possibile soluzione».