Nel territorio della Diocesi la soppressione della protezione umanitaria potrebbe provocare la fuoriuscita di circa 500 persone dai circuiti dell’accoglienza. Costretti alla marginalità, potrebbero ritrovarsi in coda ai centri di ascolto insieme ai nostri concittadini impoveriti dalle conseguenze della crisi
di Luciano
GUALZETTI
Direttore di Caritas Ambrosiana
Il decreto legge 113/2018 – meglio noto come “DL “Salvini” -, entrato in vigore il 5 ottobre scorso, è un provvedimento normativo complesso che interviene su vari temi (immigrazione, sicurezza pubblica, organizzazione del Ministero dell’Interno…) tra loro profondamente diversi.
Il provvedimento avrà delle conseguenze gravi soprattutto per i migranti che hanno chiesto la protezione internazionale (asilo) all’Italia e sono accolti nei centri di accoglienza, a causa dell’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dall’articolo 5, comma 6 del Testo Unico Immigrazione.
Con il cosiddetto Decreto Sicurezza il permesso di soggiorno per “motivi umanitari”, rilasciato dopo l’esame della domanda di asilo da parte della Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale, viene sostituito con un permesso di soggiorno per “protezione speciale” che, a differenza del primo, non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro nel caso in cui la persona ottenga un’occupazione “in regola” e non consente al titolare di essere accolto in uno dei centri Sprar (la rete dei centri in capo ai Comuni), oggi destinati esclusivamente ai titolari di protezione internazionale, rifugiati e titolari di un permesso per protezione sussidiaria, e ai minori stranieri non accompagnati. Tale disciplina si applica alle persone che hanno presentato domanda di asilo a partire dal 5 ottobre scorso (giorno di entrata in vigore del DL 113/18); a coloro che hanno presentato domanda prima di quella data si applica invece una disciplina transitoria prevista dal decreto Legge, una disciplina molto complessa che offre ampi margini di discrezionalità. Non è un caso che in questo contesto, la scorsa settimana, alcune Prefetture, specie al Sud Italia, abbiano sollecitato gli enti gestori dei centri di accoglienza ad allontanare gli ospiti che non avevano più i requisiti per rimanervi, senza andare troppo per il sottile.
Per il momento questo non è accaduto nel territorio della Diocesi di Milano, sotto la giurisdizione delle Prefetture di Milano, Varese, Lecco, Monza Brianza e parte di quella di Como. Tuttavia una stima che Caritas Ambrosiana ha fatto, esaminando la condizione giuridica dei 2.336 ospiti presenti nei centri di accoglienza della Diocesi, porta a ritenere che circa 500 potrebbero subire direttamente le conseguenze del Decreto, uscendo dal sistema di accoglienza pubblico. Potendo beneficiare di un titolo giudico debole (essendo stata eliminata la protezione umanitaria), e non potendo proseguire i percorsi di accoglienza nei centri municipali dove generalmente ci si concerta sulla loro integrazione, costoro rischiano di finire per strada, di entrare nel circuito dell’irregolarità e quindi di essere esposti al rischio della marginalità sociale. Potrebbero quindi trasformarsi in senza tetto.
Paradossalmente, questi migranti che usciranno dal circuito dell’accoglienza, potrebbero rientrare in quello dell’assistenza nel quale, specie negli ultimi anni, Caritas ha aiutato in misura sempre maggiore gli italiani, producendo ancora più insicurezza percepita.
Come dimostrano i dati dell’Osservatorio sulle povertà e le risorse della Diocesi di Milano, infatti, negli ultimi dieci anni gli utenti di nazionalità italiana che si sono rivolti al campione dei centri di ascolto parrocchiali sono aumentati sia in termini di incidenza percentuale, passando dal 24,5% del 2008 al 39,7% del 2017, sia in valori assoluti, passando da 3879 a 4499 (+16%).
Questo duplice aumento è dovuto da un lato all’oggettivo peggioramento delle condizioni di vita degli italiani in seguito alla crisi. D’altro canto, la minore presenza, in termini percentuali, degli stranieri nei nostri centri di ascolto è stato reso possibile proprio dalla creazione di quel sistema di accoglienza diffusa realizzato in accordo con le istituzioni pubbliche.
Se tale sistema, soprattutto nella sua forma più efficace dell’ospitalità diffusa, sarà ridimensionato e se i migranti avranno minori strumenti legali e minori servizi per imparare la lingua e un mestiere, come promette il Decreto Salvini, è facile immaginare che, in mancanza di altre misure, ce li ritroveremo in coda nei centri di accoglienza a contendersi le stesse nostre risorse proprio con i nostri concittadini.