In un contesto dove hanno ceduto legami e istituti importanti e dove soprattutto si affermano da anni modelli culturali lontani da quelli del libro “Cuore”, proprio il tessuto scolastico ha contribuito e contribuisce a una tenuta importante
di Alberto CAMPOLEONI
Qualche giorno fa, sul Corriere della sera, Ernesto Galli della Loggia ha dipinto uno scenario disarmante a proposito della scuola italiana, attribuendo sostanzialmente al declino del sistema scolastico i guai di questo nostro Paese. Un Paese – scrive – che «appare sempre più spesso un Paese di ladri e di truffatori». In particolare nella sfera pubblica, «tutto appare in vendita e tutti comprabili, ogni appalto appare manipolato, ogni spesa nascondere una tangente, ogni privilegio è pronto a trasformarsi in un abuso mentre l’assenteismo truffaldino è la regola».
In effetti, l’immagine corrisponde. Basti pensare agli innumerevoli scandali che finiscono nel mirino dei media. Se ne archivia (si dimentica) uno ed ecco arrivarne un altro. E pensare che chi ha vissuto la stagione di “Mani pulite”, vent’anni fa, magari pensava che il malcostume pubblico fosse a un punto di non ritorno… In realtà l’immagine che spesso offre la società italiana è quella di un tessuto sfilacciato, dove la trama che tiene insieme risulta troppo debole se non inesistente. E il bene comune soccombe all’interesse privato.
Galli della Loggia parla di «disciplinamento sociale» debole, «perché da noi non funzionano quei meccanismi che servono a ricordare nelle più svariate occasioni che non si può fare come si vuole». E una causa di questo sta «nella crisi profondissima» della scuola «la quale – stante il forte indebolimento dell’istituto familiare, dell’influenza religiosa e la fine del servizio di leva – è divenuta da molto tempo l’agenzia primaria se non unica del disciplinamento sociale degli italiani: con esiti che sono sotto gli occhi di tutti». Il commentatore denuncia poi un sostanziale disinteresse dell’opinione pubblica verso la scuola e i suoi meccanismi educativi, l’indebolimento della funzione docente, l’arroganza dei genitori, il permissivismo. Una scuola, in buona sostanza, abbandonata a se stessa e che non funziona.
A pensarci bene, però, non è proprio così. La scuola italiana ha tante magagne ma il famoso bicchiere si può anche considerare mezzo pieno piuttosto che mezzo vuoto. In una società dove hanno ceduto legami e istituti importanti e dove soprattutto si affermano da anni modelli culturali lontani da quelli del libro “Cuore”, proprio la scuola ha contribuito e contribuisce a una tenuta importante. Permissivismo? Mancanza di regole? Incapacità di sanzionare? Vero fino a un certo punto. Al di là dei luoghi comuni, infatti, proprio dal tessuto scolastico si avvia spesso la (ri)costruzione delle comunità e a scuola si sperimentano, tra l’altro, i valori dell’inclusione, della cooperazione, dell’agire insieme e per fini comuni. Le regole? Si fa quel che si può, ma si prova (e non solo con bocciature e sospensioni).
La scuola italiana non è un luogo ideale, un chiostro fiorito e protetto, piuttosto è aperta a tutte le intemperie della società, ai venti furiosi di chi l’ha descritta e la descrive come un luogo di fannulloni, parcheggio sociale, fabbrica di posti di lavoro per chi di voglia di lavorare non ne ha. Ebbene, in questo contesto la scuola opera e, a ben vedere, fa miracoli. Oltre a tanti problemi strutturali, alla cronica mancanza di risorse, deve abbattere muri di diffidenza. Ora, van bene le critiche, ottimi gli occhi e le penne attente ai guai, le puntuali disamine e le denunce. Ma anche un po’ di fiducia non guasterebbe, la costruzione di un pensiero positivo, non irreale, ma basato sulla quotidianità dell’esperienza ordinaria. Non ci sono solo macerie e sulla (nella) scuola si può costruire.