Le reiterate dichiarazioni dei leader europei non bastano più
Sir Europa
La memoria corta non aiuta. Tanto meno in politica. Una nuova dimostrazione viene dalle cronache di queste ore, che raccontano di leader europei finalmente decisi a intraprendere la strada della “crescita”, perché «il rigore da solo non è sufficiente e non crea posti di lavoro». Dalla Merkel (Germania) a Barroso (Commissione Ue), dalla coppia Sarkozy-Hollande (Francia) a Monti (Italia), passando per Van Rompuy (Consiglio Ue), Juncker (Eurogruppo) e Draghi (Bce), si susseguono le dichiarazioni – amplificate dai media – che ribadiscono la doverosa promozione di iniziative, di breve e media gittata, per «far ripartire l’economia europea».
Ne è una riprova l’esito dell’incontro tra il capo dell’Esecutivo di Bruxelles e il premier italiano svoltosi il 27 aprile. Barroso e Monti hanno affermato all’unisono: «La nostra discussione si è focalizzata sull’attuale situazione economica in Europa e in particolare nell’area euro. Ci troviamo di fronte a delle sfide notevoli in termini di crescita e dell’alto livello di disoccupazione». Il rilancio della crescita «deve avvenire attraverso un impegno senza tregua per il miglioramento della competitività e non attraverso un ulteriore indebitamento», hanno sottolineato José Manuel Barroso e Mario Monti, che hanno già fissato un prossimo appuntamento per il 15 maggio in vista del Consiglio europeo di giugno. «Il consolidamento fiscale deve dunque procedere assieme a degli investimenti mirati per aumentare la competitività e al tempo stesso contribuire a rilanciare la domanda nel breve termine». I due politici hanno inoltre espresso la necessità di procedere a un rilancio degli investimenti e l’urgenza «di sviluppare ulteriormente il mercato unico, che è il mezzo più importante per la promozione della crescita e dell’impiego». In particolare, «ci devono essere dei progressi accelerati e più efficaci nei settori dell’economia digitale, dell’energia e dei servizi».
In tutta l’Unione si parla dunque di un grande “Patto per la crescita”, che potrebbe essere varato al summit estivo dei 27; di project bonds o di growth bonds indirizzati a sostenere gli investimenti di lungo periodo; di riforme strutturali (sulle quali insiste la cancelliera tedesca); di rafforzamento di specifiche politiche per la crescita, come il sostegno alle piccole e medie aziende, la diffusione della banda larga, la riforma del mercato del lavoro, maggiore impegno in ricerca e formazione…
E qui torna la questione della “memoria”. Perché, a ben guardare, questi stessi argomenti, queste medesime ricette, erano risuonate – e poi messe nero su bianco nonché sottoscritte dagli stessi leader – al termine dei due più recenti Consigli europei. Per esempio nel documento finale del summit del 30 gennaio leggiamo: «Dobbiamo modernizzare le nostre economie e rafforzare la nostra competitività per assicurare una crescita sostenibile. Ciò è essenziale per creare posti di lavoro e preservare i nostri modelli sociali». E poco oltre: «Crescita e occupazione riprenderanno solo se seguiamo un approccio coerente e ampio, combinando un risanamento di bilancio intelligente che preservi l’investimento nella crescita futura, politiche macroeconomiche sane e una strategia attiva per l’occupazione che preservi la coesione sociale». Seguivano sette pagine fitte di impegni da concretizzare e di settori da rivitalizzare, fra cui occupazione giovanile, mercato unico, finanziamento delle piccole e medie imprese, green economy, energia, servizi, utilizzo dei fondi per la coesione.
Non diverse risultavano le conclusioni del vertice dell’1 e 2 marzo. «Il Consiglio europeo ha discusso l’attuazione della strategia economica dell’Ue. Tale strategia mira sia a proseguire il risanamento di bilancio sia ad intraprendere azioni determinate per potenziare la crescita e l’occupazione; da una situazione caratterizzata da disavanzi e livelli eccessivi di debito non è possibile generare una crescita sostenibile e occupazione». Il Consiglio europeo «ha inoltre discusso le azioni necessarie a livello dell’Ue per portare avanti il completamento del mercato unico in tutti i suoi aspetti, sia interni sia esterni, e promuovere l’innovazione e la ricerca». E, a seguire, una moltitudine di azioni, iniziative, impegni, ancora orientati alla “crescita”, racchiusi stavolta in una decina di pagine, dove si riparla di programmi a livello nazionale, mercato unico europeo, politica energetica, sostegno alle Pmi, politiche attive per il lavoro, mercato unico digitale, economia verde, ricerca e così via.
Si potrebbe obiettare che, in una situazione di crisi tanto complessa e profonda, occorrono tempo, idee chiare e volontà politica condivisa per rimettere in moto la macchina della crescita. Ma è altrettanto vero che se, passando i mesi, si tornano a ripetere le stesse formule senza applicarle, è facile prevedere che la crescita si allontanerà ulteriormente. Anche perché i mercati e la competitività globale non viaggiano agli stessi ritmi della politica.
Adesso che il termine “crescita” è stabilmente entrato nel vocabolario di tutte le cancellerie, ci si potrà attendere che si passi dalle parole ai fatti?