Nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne pubblichiamo la testimonianza di Maria, tratta da “Noneamore”, il sito dedicato di Caritas ambrosiana
Oggi, 25 novembre, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999, con l’invito a governi, organizzazioni internazionali e ong ad animarla attraverso attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema.
In questa occasione pubblichiamo la storia di Maria, una donna uscita dal tunnel della violenza. La sua testimonianza è tratta da noneamore.caritasambrosiana.it/, il sito dedicato di Caritas ambrosiana, che riporta i dati del fenomeno, la sua fenomenologia e una serie di indicazioni di servizio utili alle vittime.
Pubblichiamo inoltre i dati delle violenze a Milano resi noti dalla Rete Antiviolenza del Comune e il bilancio degli ultimi mesi del servizio predisposto da Fondazione Somaschi. Segnaliamo infine un’asta benefica organizzata da Fondazione Arché giovedì 25 novembre alle 18 e un webinar promosso sul tema dalle Acli Milanesi nella serata di venerdì 26 novembre.
Mi chiamo Maria, ho 50 anni. A 24 anni mi sono sposata con Luigi pochi mesi dopo il nostro fidanzamento. Era il sogno della mia vita: potevo costruire la mia famiglia con un uomo che mi diceva voleva lo stesso, insieme a me… Se ci ripenso ora… ora che la mia storia riesco a leggerla in maniera diversa da allora.
In quei pochi mesi che hanno preceduto il nostro matrimonio Luigi aveva avuto verso di me dei comportamenti particolarmente aggressivi: mi aveva insultata con parole che ricordo una a una. In una occasione, a suo dire, gli avevo fatto fare brutta figura con un suo conoscente; nell’altra occasione che ricordo, mi ha dato più schiaffi perché secondo lui stavo guardando «come solo lui sapeva» un mio amico. Non era vero, ma non sono riuscita a rispondere… poi lui si pentiva, si scusava e mi corteggiava assiduamente facendomi sentire cercata, desiderata. Ci siamo sposati, eravamo felici, così pensavo. Ma è capitato di nuovo: lo schiaffo, l’insulto, il «non essere buona a niente…». A questi erano poi seguiti momenti di tranquillità che mi avevano fatto illudere che lui stesse finalmente cambiando.
La nascita di Matteo
Poi è nato Matteo, un anno dopo il nostro matrimonio. Che gioia per me quel bambino! Ma per lui… anche Matteo diventava il pretesto per litigare. Liti che spesso finivano a calci e pugni. Solo per me… Mi ricordo una sera che stavo dando da mangiare al piccolo seduto sul seggiolone e lui che mi intima di andargli a prendere il sale in cucina. Non sono stata abbastanza pronta, non come lui voleva. Me lo sono visto piombare addosso, mi ha fatto cadere dalla sedia rovesciandomi i piatti che erano sul tavolo. Dopo quella crisi lui si è chiuso in camera e mi ha costretto a dormire sul divano. Il giorno dopo, prima di andare al lavoro, si gira verso di me e mi saluta come se nulla fosse successo… Io invece non sapevo come comportarmi e per timore di attivare la sua reazione violenta mi adeguavo a ogni suo comportamento.
Più andava avanti il tempo, più gli anni passavano e più questi episodi si facevano frequenti, facendomi sentire come in trappola. Non riuscivo a non pensare a come poteva reagire per qualunque cosa io facessi e che se fosse risultata sbagliata ai suoi occhi me l’avrebbe fatta pagare.
Sola, senza via d’uscita
Non potevo contare sull’aiuto di nessuno: la mia famiglia di origine vive lontano da noi e comunque non volevo coinvolgerli. E non avevo più relazioni oltre a lui e a Matteo: a lui le mie amiche non piacevano e non perdeva occasione per insultarle e usare anche loro come pretesto per litigare. E io non volevo litigare su ogni cosa… e così mi sono allontanata anche da loro.
Un giorno Matteo, nel frattempo cresciuto e uscito presto di casa per andare ad abitare con due amici mentre continuava gli studi e lavorava per mantenersi, mi guarda fisso negli occhi e mi dice: «Mamma, non puoi andare avanti così. Devi chiedere aiuto». Mi passa un volantino di un servizio della Caritas Ambrosiana e della Cooperativa Farsi Prossimo: donne che ascoltano le donne… «Chiama – mi dice -. non posso più vederti così: qualcosa si potrà pur fare?».
Il coraggio di chiedere aiuto
Così arrivo a parlare con due donne del Se.D. della Caritas Ambrosiana, assistenti sociali: mi ascoltano. Inizio a raccontare loro la mia storia: come posso, come riesco, a fatica. Capisco che insieme a loro operano anche altre persone. La chiamano “rete” di servizi. Dopo qualche colloquio, e tanti pensieri riesco a “vedere” che lui non cambierà, questo ora lo capisco. Il problema non sono io, è lui! Ma lui non lo “vede”… la cosa importante però è che ora lo vedo io.
Così accetto la loro proposta di un posto in comunità: lui all’inizio mi ha cercata dappertutto. Ho dovuto cambiato numero di telefono, dandolo solo alle persone di cui cominciavo ad avere sempre più fiducia; poi anche a Matteo al quale avevo spiegato il percorso che andavo a iniziare.
Una nuova vita
Non è stato facile, soprattutto i primi mesi: ma avevo trovato protezione e potevo permettermi di non avere più paura! Ho trovato il coraggio subito dopo di andare in Questura e di denunciarlo. L’iter legale è stato lungo e faticoso: la parte civile si è conclusa con una separazione giudiziale. Quella penale è ancora in corso. Durante il percorso di accoglienza mi avevano segnalato per un corso di formazione professionale che mi ha poi portata a essere assunta in un albergo con mansioni di cameriera ai piani. Quando ho firmato quel contratto, mi sì è riaperto il mondo! Ero felice, di nuovo…
C’è voluto un anno e mezzo, ma ora ho una casa mia, Matteo è venuto a stare da me e uniamo per ora le risorse economiche per andare avanti. Non è molto, ma ce la facciamo. E lui può continuare a studiare.
Il mio ex-marito ha smesso di cercarmi anche grazie alla mediazione del suo avvocato, che sembra averlo convinto a non mettere in atto azioni che peggiorerebbero la sua situazione.
Io sto provando a concedermi una nuova vita.