Autoregolamentazione da parte dei giornalisti, educazione e formazione del pubblico: questi gli antidoti per tentare di arginare il fenomeno, secondo Vania De Luca, presidente dell’Unione cattolica stampa italiana
di Giovanna PASQUALIN TRAVERSA
Sono un miliardo e 860 milioni gli utenti di Facebook, la maggior parte dei quali utilizza il social per informarsi su quanto accade nel mondo. E sul web si diffondono a velocità vertiginosa non solo notizie vere ma anche fake news – disinformazione che crea l’illusione di essere informato in chi è privo di adeguati strumenti di decodifica – e contenuti inneggianti all’odio (hate speech). Quale l’antidoto? In Italia, lo scorso 15 febbraio è stato presentato in Senato il disegno di legge (Ddl) “Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza del web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica” che prevede tra l’altro sanzioni da 5 mila euro per chi diffonda notizie “false, esagerate o tendenziose” sui social o sui siti “non espressamente di giornalismo online”, un’ammenda di 10 mila euro e fino a due anni di reclusione per chi si renda responsabile di “campagne di odio” su internet, e interventi affinché l’alfabetizzazione mediatica per “promuovere l’uso critico dei media online” rientri negli “obiettivi formativi” della scuola. Di questo e dello stato di salute del giornalismo abbiamo parlato con Vania De Luca, vaticanista di Rainews 24 e presidente dell’Unione cattolica stampa italiana (Ucsi).
«Sia che provengano da organi di informazione ufficiali, sia che rientrino nel flusso di notizie che chiunque può immettere nella rete, il fenomeno delle fake news è allarmante, fa opinione pubblica – le elezioni del presidente Usa e il referendum costituzionale nel nostro Paese lo dimostrano – ma non fa informazione», afferma De Luca, secondo la quale il Ddl «ha un grosso limite» perché «voler normare solo l’informazione on line su blog e forum, ossia ciò che non è attività giornalistica, avalla l’idea che tutto ciò che passa in rete sia informazione». Per la presidente dell’Ucsi, le “bufale” sono conseguenza dell’informazione fai da te ma non solo. «Esistono anche testate riconosciute ai sensi di legge che per opportunismo o motivi ideologici manipolano l’informazione tentando di orientare l’opinione pubblica in un senso piuttosto che nell’altro. Di queste però il Ddl non si occupa e pretende di normare la rete, di sua natura impossibile da regolamentare e priva di confini nazionali».
Per De Luca le parole chiave contro le “bufale” sono invece autoregolamentazione ed educazione. La prima riguarda i giornalisti e deve coniugare etica, professionalità, lealtà e verifica delle notizie prima della loro diffusione. La seconda riguarda lettori, telespettatori, utenti di internet. «L’unico elemento positivo del provvedimento – osserva – è la richiesta che l’alfabetizzazione mediatica rientri negli “obiettivi formativi” della scuola. Il resto mi sembra pretestuoso». E poi, «tranne casi eclatanti, come si fa a definire con certezza che cosa sia tendenzioso, esagerato? E chi sarebbe titolato a farlo?».
La questione vera è la perdita di credibilità della professione. Per De Luca, «un certo tipo di giornalismo ha penalizzato l’intera categoria nonostante esistano professionisti deontologicamente consapevoli del proprio ruolo. A giocare contro è anche l’avversione per tutto quanto viene considerato “casta”, quella disintermediazione rilevata dal Censis e ben disegnata nell’ultimo rapporto Ucsi-Censis sulla comunicazione».
In questo orizzonte si inserisce la campagna per la “buona notizia” lanciata il 14 febbraio dall’Ucsi attraverso il proprio sito. «Una piccola comunità che si ritrova online per condividere attraverso lo strumento multimediale gesti, azioni, buone pratiche che spesso non trovano spazio nella “grande” informazione. Chiediamo a che ci segue di segnalare “storie positive” sui loro territori». Nel Messaggio per la 51ª Giornata mondiale per le comunicazioni sociali, «il Papa ci invita a comunicare speranza, fiducia. Non si tratta di essere retorici o ingenuamente buonisti, ma di raccontare fatti e cronaca, anche i più crudi con la prospettiva della speranza, senza minimizzare o nascondere il male, ma dicendo che un sentiero e un impegno in altra direzione sono possibili. Articoli, interviste, video: a fare la differenza è la scelta della chiave interpretativa, quegli occhiali “della buona notizia” indicati da Francesco per leggere la realtà».
L’intenzione è «creare reti positive e l’effetto sarà a catena». Un esempio concreto di queste reti, prosegue, De Luca, si è visto, nelle due giornate di “Parole_O Stili” (Trieste, 17 – 18 febbraio) dove intorno ad un progetto, contrastare la violenza sul web, si è creata una community online, una parte della quale si è incontrata fisicamente per un’occasione di confronto e condivisione. De Luca è intervenuta al panel “In nome di Dio”. Da Trieste è uscito un “Manifesto della comunicazione non ostile” in dieci punti, sottoscritto anche dall’Ucsi. A questo primo appuntamento ne seguirà e breve un altro. «Oggi – continua la presidente – è necessaria una riflessione che orienti sui grandi problemi». L’Ucsi ha già proposto sul suo sito alcune “buone notizie”. Tra le più gettonate quella sull’impegno contro l’usura e le storie arrivate dalle zone del Centro Italia colpite dal terremoto, «che hanno messo in luce gli elementi di umanità e solidarietà emersi. Vastissima eco ha avuto nei giorni della tragedia di Rigopiano una riflessione su come è cambiata l’informazione nelle situazioni di emergenza, fatta dall’interno dell’emergenza stessa quale può essere un terremoto o una guerra. Tema sul quale – assicura – ritorneremo».