Il “boom” degli embrioni crioconservati, che in Italia sono oltre 16 mila

a cura di Maria Michela NICOLAIS

Embrione

Da Luise Brown, la prima bambina concepita il 25 luglio 1978 grazie alla fecondazione in vitro, sono 5 milioni i bambini nati grazie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (pma). Il dato è stato presentato ed enfatizzato come «una parte essenziale delle terapie cliniche normalizzate e standardizzate per il trattamento delle coppie infertili», in un recente congresso della European Society of Human Reproduction and Embriology a Istanbul.

Gli ultimi dati del Ministero della Salute sullo stato di attuazione della legge 40, presentati nei giorni scorsi e relativi al 2010, parlano di un aumento esponenziale delle procedure di crioconservazione: da 2.417 del 2009 a 8.779. Il numero dei concepiti congelati è più che raddoppiato, passando da 7.337 a 16.280. Degli embrioni scongelati il 78% sono stati traferiti, mentre il 22% non sono sopravvissuti. I cicli di pma iniziati con lo scongelamento di embrioni rappresentano ben il 60% del totale dei cicli da scongelamento, superando quelli che prevedono l’utilizzo di ovociti. Ne parliamo con Antonio G. Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università Cattolica di Roma.

Cinque milioni di bambini nati grazie alle tecniche di procreazione medicalmente assistita: è un successo delle terapie per l’infertilità?
Cinque milioni di bambini che nascono, è un dato certamente positivo e da rispettare come tale. Sulle modalità, però, attraverso le quali questi bambini nascono, ci sono molte perplessità: prima di tutto perché non può passare il concetto che la nascita debba avvenire a qualunque costo, e i costi in questo caso sono molto pesanti. Nonostante siano quasi passati 35 anni da Louise Brown, si è potuto infatti verificare che la percentuale di bambini nati in provetta è di uno su dieci: questo significa che gli altri nove “embrioni fratelli” vanno persi. Robert Edwards, il “padre” della provetta, invitato dalla Pontificia Accademia delle scienze, nel 1982 ha illustrato risultati che non hanno alcuna differenza con i dati di oggi. Il limite della tecnica è proprio questo: a ogni bambino che è nato, corrisponde una perdita di altri nove. La letteratura scientifica internazionale, inoltre, mentre in passato c’era molta incertezza, ormai conferma che in questi bambini c’è un sensibile aumento di anomalie, rispetto ai bambini che nascono in maniera naturale.

Nessuno parla degli embrioni che vengono scartati, e quindi dei problemi legati alla crioconservazione…
Questo è un altro elemento negativo. Anche la legge 40, prima di essere stravolta dalla sentenza della Corte Costituzionale, parlava di un bambino nato su nove: attualmente la possibilità di congelarli, introdotta anche nel nostro Paese e in altri presente da sempre, apre un altro capitolo che è quello del destino degli embrioni crioconservati, e di come utilizzarli. Diventa, dunque, necessario riflettere su qualcosa che poteva essere risolta semplicemente non congelando gli embrioni: ora si pone il problema del congelamento, e del come porre limiti alle sue implicazioni. Inizialmente il congelamento è stato introdotto, stravolgendo la legge 40, in nome dell’idea di non sottoporre la donna a troppi cicli di stimolazione ovarica: c’è, però, la questione degli embrioni soprannumerari, che rimangono nei freezer e per i quali non c’è alcuna destinazione accettabile, dopo averli posti in questa condizione.

C’è, quindi, una sorta di “pressione” a favore della crioconservazione?
Il 26 giugno scorso è stato emanato un decreto legislativo – passato quasi sotto silenzio – che modificava un precedente decreto del 2010, in materia di protezione del materiale crioconservato. Preparato in occasione della sentenza della Corte Costituzionale, il decreto del 2010, con l’obiettivo di proteggerli da eventi avversi che si potessero verificare, aveva inserito le cellule riproduttive, i tessuti e gli embrioni umani. Nel decreto del 2010 si parlava soltanto di embrioni e donatori: ora, con il decreto di fine giugno, la protezione è estesa ai tessuti donati. Già il riferimento a tessuti, cellule ed embrioni – presente nel decreto del 2010 – è problematico: nel decreto di poche settimane fa, per di più, si fa esplicito riferimento agli embrioni crioconservati, di cui ci si preoccupa di rendere il più possibile trasparente la tracciabilità. Il legislatore, dunque, sta pensando alla questione degli embrioni crioconservati “risolvendola” semplicemente allargando le maglie del decreto del 2010. Senza porsi, però, il problema che gli embrioni crioconservati hanno caratteristiche un po’ diverse dai tessuti, dalle cellule e dai gameti.

Come contrastare questa deriva?
Il tentativo in atto è senz’altro quello di addomesticare i dati, enfatizzandone soltanto alcuni aspetti: basti pensare all’insistere sul presunto “miglior successo” di tecniche come la fecondazione eterologa o il ricorso alla madre surrogata. L’idea di considerare l’embrione come qualcosa di assolutamente simile ai tessuti o alle cellule da crioconservare, rientra nella concezione generale dell’embrione come semplice materiale da laboratorio. Sentenze, invece, come quella della Corte europea di giustizia avevano dato una spinta molto forte alla concezione dell’embrione come persona, con quel richiamo al “corpo” dell’embrione che dà un significato antropologico molto più rilevante a quest’ultimo, distinguendolo dalle cellule e dai tessuti. È in questa direzione che bisogna continuare a insistere.

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