Questo aspetto del processo di meticciato di civiltà e di culture è al centro del nuovo progetto lanciato dalla Fondazione col sostegno di Fondazione Cariplo
di Martino DIEZ
Direttore scientifico Oasis
«Non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca»: così Papa Francesco ha sinteticamente descritto nel novembre scorso il contesto in cui la Chiesa italiana (e universale) è chiamata a vivere. E proprio dalla provocazione racchiusa in questa formula ha preso avvio il nuovo progetto di ricerca che la Fondazione Internazionale Oasis ha lanciato lunedì 30 maggio, grazie al sostegno di Fondazione Cariplo.
Certamente ogni generazione ha avuto la percezione di una forma di rottura con il passato. Tuttavia il passaggio epocale che stiamo attraversando sembra per molti versi inedito nella sua rapidità e radicalità. Tra i molti affronti possibili il progetto promosso da Oasis si concentra in particolare sul cambiamento dell’Islam e nell’Islam, come aspetto fondamentale del processo di meticciato di civiltà e di culture.
Di primo acchito, applicare la categoria di cambiamento al mondo islamico può forse sorprendere, dato che spesso lo si pensa come omogeneo e immutabile. In realtà esso ha conosciuto negli ultimi due secoli un confronto ininterrotto con la modernità che ha letteralmente frantumato l’edificio religioso tradizionale, dando vita a correnti in aperto conflitto tra di loro. Da qui è partita Leila Babès, sociologa francese di origine algerina, invitata a Milano per animare il primo seminario di ricerca, il 30 maggio: «Quello che sta avvenendo oggi non è uno scontro di civiltà, ma uno scontro all’interno della civiltà islamica». In particolare lo scontro opporrebbe sostenitori e avversari di una «teologia politica» – l’autrice non teme di usare questa espressione controversa – dal carattere utopico, che contesta ogni ordine terreno in nome di un ideale irrealizzabile. Una “anarco-teocrazia” capace di distruggere, ma non di costruire.
«Ma a me che importa?». Anche questa è una citazione di papa Francesco, a Redipuglia, e dà voce alla tentazione permanente del disimpegno di fronte a temi avvertiti come lontani e difficili. La risposta della studiosa franco-algerina è che anche l’Islam di casa nostra risente profondamente di queste dinamiche mediorientali, sul piano demografico e delle idee. Sul piano demografico, perché è anche il fuoco devastante dell’utopia (pensiamo alla Siria) ad alimentare il flusso dei profughi. E sul piano culturale, perché il fatto di essere calati in un contesto nuovo può indurre nei migranti cambiamenti significativi.
In che misura e secondo quali linee, questo è il grande e dibattuto tema dell’Islam europeo. Se ne parlerà in settembre con Felice Dassetto, nel secondo seminario del progetto.