Presentati a Milano i dati della ricerca condotta da Aaster per le diocesi della Lombardia. Aldo Bonomi: «La sfida di un nuovo mutualismo parte dal compito di ricostruire un intelletto collettivo sociale, che parta dalla concretezza viva dei frammenti che restano sul campo, che superi il lungo inverno del rancore e soprattutto la solidarietà compassionevole e spettacolarizzata»
È stato presentato questa mattina a Milano il Rapporto sulle povertà curato dalle Caritas diocesane della Lombardia che hanno scelto di riflettere, quest’anno, sulle modalità con cui le Caritas stesse, a partire dall’incontro coi poveri, riescono a incidere sulla vita delle comunità cristiane. «Una ricerca più qualitativa che quantitativa – ha sottolineato nel suo intervento di apertura don Francesco Gipponi, direttore della Caritas di Crema e coordinatore del gruppo regionale degli Osservatori delle Povertà e delle Risorse -. Una ricerca che parte dai volontari dei nostri Centri, dal loro rapporto con le diverse forme di povertà, che guarda alla loro fatica e sta in relazione con il concetto di comunità».
Albino Gusmeroli del Consorzio Aaster ha presentato i numeri della ricerca. Quasi 700 questionari somministrati ai Centri di Ascolto della Lombardia e 14 focus group, consentono di tracciare un quadro delle povertà visto dagli occhi di chi ogni giorno lavora sul campo. «Una ricerca – ha sottolineato Gusmeroli – che restituisce lo sguardo dei volontari nelle relazioni con le persone che incontrano». Ecco allora delinearsi nei Centri di Ascolto l’aumento della domanda di chi chiede aiuto, sia in tema di povertà materiali sia in tema di povertà educativa e relazionale. Agli sportelli si rivolgono sempre più italiani, con un aumento considerevole degli “impoveriti”, persone strutturalmente non escluse. «È la crisi della società dei consumi. Non potendo più consumare ci si rivolge alla Caritas, con il desiderio di poter tornare a essere ciò che si era prima, ovvero consumatori».
Qualche altro dato che emerge dalla ricerca: i volontari dei Centri di Ascolto sono soprattutto donne (più del 60 per cento) con un’età superiore ai 60 anni. La ricerca restituisce i dati dei volontari che incontrano sul territorio le diverse forme di povertà. Preoccupa l’impoverimento delle famiglie (nella misura del 46% per cento delle risposte), la crescente mancanza o precarietà del lavoro (41,1%) la crisi dei legami familiari (22,3%), la crescita di fenomeni di dipendenza dal gioco d’azzardo 18,6%), la crisi abitativa (17,9%).
Preoccupazioni che si manifestano, secondo i dati dei Centri di Ascolto, a causa dell’esasperazione della crisi economica (66,2%) o a causa della mancanza di fiducia nell’intervento delle istituzioni (51,3%). Dai volontari dei Centri di Ascolto emerge invece un quadro con tinte meno fosche di quanto solitamente tratteggiato, per quel che riguarda il tema dell’immigrazione. L’afflusso crescente di profughi stranieri è considerato come fenomeno sociale di rilevante disagio solo nella misura del 17% delle risposte fornite.
I dati della ricerca sono stati commentati dal sociologo Aldo Bonomi, secondo il quale i Centri di Ascolto si trovano oggi in una sorta di terra di mezzo. E con una grande sfida davanti a sé: «La sfida di un nuovo mutualismo parte dal compito di ricostruire un intelletto collettivo sociale, che parta dalla concretezza viva dei frammenti che restano sul campo, che superi il lungo inverno del rancore e soprattutto la solidarietà compassionevole e spettacolarizzata. In questi frammenti ancora così ricchi di dignità, di sapere e di senso, possiamo riporre le nostre speranze all’interno di un contesto nel quale il sociale, se non sgomita per fare società, si ritrova schiacciato tra economia dei flussi e politica del rancore, rischiando di essere definito unicamente dall’essere marginale e di trovarsi al margine senza più la visione di un margine che si fa centro». Per Bonomi viviamo in una società in cui la paura sociale genera sentimenti collettivi indocili come rancore, cinismo, violenze: «Da un lato abbiamo la bolla della solidarietà da società dello spettacolo, dall’altro il venir meno dei meccanismi di inclusione vera. Il punto è allora interrogarsi sul perché oggi questo sentimento umanissimo tende a piegare la voglia di comunità in rinserramento ed esclusione. Perché dalla paura possa generarsi comunità di cura occorre partire dal ribaltamento del paradigma che ci vede vivere in una società dai mezzi abbondanti e dai fini sempre più indefiniti. Siamo di fronte ad un salto d’epoca, o, se si preferisce, ad una fase di metamorfosi e non di transizione ed evoluzione. E i Centri di Ascolto in questa fase storica sono una straordinaria fonte di prossimità, di cristianesimo di minoranza, di vicinato. Perché si occupano dei volti e non dei voti».
Le conclusioni sono state affidate a Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana e delegato Regionale Caritas delle Lombardia: «La ricerca dimostra come i Centri di Ascolto abbiano tenuto sul piano sociale e culturale, rispondendo ai bisogni non con soluzioni facili che tendono a forme di assistenzialismo, ma mettendosi in gioco, adottando strumenti complessi che accompagnano le persone verso l’autonomia. I Centri di Ascolto hanno vissuto l’incontro con i poveri non come una minaccia, ma come una risorsa per poter ripartire insieme come comunità. La ricerca conferma come la rete dei Centri di Ascolto abbia saputo, a partire dalla comunità di cura, creare condizioni di cambiamento in tutta la comunità, per evitare la delega e separare le opere di carità dalla vita pastorale. Ora ci aspetta un grande lavoro formativo di ampliamento della rete di risposta al bisogno, creando alleanze con le istituzioni pubbliche e gli altri soggetti del terzo settore».
Il volume con i dati completi della ricerca è disponibile presso le sedi diocesane delle Caritas della Lombardia.