Il richiamo del Tar della Lombardia (Brescia) a «rigore e cautela»

di Giovanna PASQUALIN TRAVERSA
Agenzia Sir

Cellule staminali

«Una decisione che se dal punto di vista emotivo può apparire crudele, è in realtà volta a evitare che questo tipo di terapia, non ancora sufficientemente sperimentata, possa provocare un peggioramento se non addirittura costituire motivo di anticipazione di morte per i bambini che vi vengono sottoposti». Antonio Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, commenta positivamente la sentenza con cui ieri, 5 settembre, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, ha respinto la richiesta di sospensiva dello stop dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) alle terapie della Stamina Foundation che prevedono l’innesto in tre piccoli pazienti, Smeralda, Celeste e Daniele, di cellule staminali adulte per curarne le gravi patologie.

Le famiglie dei tre bimbi erano ricorse al Tar contro il blocco ordinato lo scorso maggio dall’Aifa. Celeste e Smeralda continueranno però la terapia grazie a due sentenze dei Tribunali di Venezia e di Catania (la prima definitiva, la seconda provvisoria in vista del pronunciamento definitivo atteso il 18 settembre).

Spagnolo, perché condivide la decisione del Tar?
La possibilità che le cellule staminali possano curare patologie gravi o incurabili è l’obiettivo che la medicina deve raggiungere, ma non è l’elemento da cui partire. La ricerca e la sperimentazione condotte in modo corretto devono basarsi sul presupposto che tale terapia possa funzionare, non funzionare, ma anche provocare danni. Mentre per una terapia già consolidata si può fare una valutazione del rapporto rischi-benefici, nella sperimentazione il beneficio deve ancora essere dimostrato. Di qui la necessità di muoversi con molta cautela. Giustamente, quindi, gli organismi preposti a tutelare la sperimentazione devono pretendere che il suo punto di partenza sia irreprensibile per evitare conclusioni legate al caso. Purtroppo, se non si utilizzano meccanismi metodologici rigorosi, si corre il rischio che a un primo apparente beneficio ascrivibile a una terapia non sufficientemente sperimentata, seguano gravi danni. Nella terapia con le cellule staminali la questione è ancora più delicata perché vi è un rischio aggiuntivo legato alla metodica impiegata per la loro produzione.

Che cosa intende dire?
Nel caso di specie si tratta di staminali adulte, che dunque non sollevano gli interrogativi etici legati all’utilizzo delle cellule embrionali (nel caso della piccola Celeste si tratta di cellule prelevate da un frammento di midollo osseo della madre, ndr), ma devono essere “lavorate” e “preparate” per il trasferimento nei piccoli organismi. Una procedura che dovrebbe avvenire solo in strutture in linea con le Gmp (Good manufacturing practice), norme stabilite a livello europeo per certificare la purezza del prodotto, la sua tracciabilità, sicurezza e corrispondenza agli standard fissati. La Stamina Foundation non fa invece parte delle stem factory (aziende produttrici di cellule staminali, ndr) accreditate in Italia dal Dipartimento di terapia cellulare dall’Aifa e segue protocolli propri; dunque è stato corretto intervenire.

In questi giorni si è sentito parlare anche di “terapie compassionevoli”: di che si tratta?
Su soggetti colpiti da gravi patologie si ammette eccezionalmente l’uso delle cosiddette “terapie compassionevoli”, che indicano la possibilità di utilizzo di un determinato farmaco, ancora privo di indicazioni specifiche per quella malattia ma del quale sono già noti tutti gli effetti collaterali. Il rischio insomma è in qualche modo calcolato: si tratta solo di valutarne l’efficacia nel caso di specie. Terapie sperimentali che, pur non avendo ancora ottenuto la registrazione formale e, quindi, non essendo ancora disponibili in commercio, hanno tuttavia dimostrato di essere efficaci. Ad autorizzarne l’uso “compassionevole” sono le stesse aziende farmaceutiche, ma solo su parere positivo del competente Comitato etico. Ritengo auspicabile la valutazione di un Comitato etico anche in merito alle terapie cellulari. Ribadisco, tuttavia, che nei casi sui quali si è pronunciato il Tar mancano i presupposti essenziali, a partire dalla modalità di “preparazione” di queste cellule. Le regole sulla sperimentazione non sono cavilli burocratici, ma sono volte a realizzare l’obiettivo del medico: il doppio principio di beneficialità e di non maleficenza.

Ritiene che la decisione dei giudici di Venezia e Catania tuteli realmente il bene delle due bambine?
Non ne sono affatto certo e mi preoccupa il rischio di un ritorno alla vicenda del “metodo Di Bella” (terapia alternativa per la cura dei tumori ideata dal medico Luigi Di Bella alla fine degli anni ‘90, ma priva di riscontri scientifici, ndr). In quegli anni, prima della bocciatura da parte del Ministero della Salute, i cittadini ricorrevano alla giustizia ordinaria per ottenere l’autorizzazione a sottoporsi a quella cura, ma non è ammissibile che dei giudici possano ovviare alle regole della buona pratica clinica. Sul piano del vero bene della persona si registra a volte un eccesso d’intervento da parte del diritto su questioni che richiederebbero invece una corretta e competente valutazione scientifica.

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