Alla Fondazione San Fedele di Milano un convegno promosso da Sesta Opera, che fa seguito alle consultazioni degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale 2015
Una pena che preveda la sola segregazione produce una recidiva superiore al 70%, una che si basi su percorsi di reinserimento la abbatte oltre al 20%. Prende spunto da questa evidenza statistica la giornata di convegno che Sesta Opera San Fedele, associazione di volontariato carcerario storicamente legata ai gesuiti di Milano, e Fondazione Culturale San Fedele organizzano per lunedì 23 maggio.
«Buttiamo la chiave o andiamo a trovarli? – Spunti e riflessioni a seguito delle consultazioni degli Stati Generali dell’Esecuzione Penale 2015»: questo il titolo dell’evento che si svolgerà dalle 9 alle 17,30 presso la Sala Ricci della stessa Fondazione (Piazza San Fedele 4, Milano).
Gli “Stati Generali dell’esecuzione penale” sono stati avviati nel maggio del 2015 dal Ministero della Giustizia per elaborare proposte finalizzate al superamento dell’idea del carcere quale pena per antonomasia, cercare di liberare l’opinione pubblica dalle paure e individuare misure alternative finalizzate al reinserimento del condannato, non solo alla sua segregazione.
Per intraprendere questo percorso di studio e confronto sono stati costituiti 18 tavoli tematici composti da operatori penitenziari, magistrati, avvocati, docenti, esperti, rappresentanti della cultura e dell’associazionismo civile, che lo scorso aprile hanno presentato l’elaborazione di un progetto di riforma dell’ordinamento penitenziario.
«A breve distanza dalla comunicazione istituzionale dei risultati raggiunti abbiamo sentito l’esigenza di organizzare una giornata che riassumesse e rilanciasse gli spunti innovativi emersi dal confronto; convinti, come siamo, che il problema sia culturale, prima ancora che normativo», dice Guido Chiaretti, presidente di Sesta Opera San Fedele, componente del tavolo 12, coordinato da Gherardo Colombo, magistrato in quiescenza.
Il convegno di lunedì si svilupperà in tre seminari che ripercorreranno le macro aree individuate nella relazione conclusiva e sarà coordinato da Adolfo Ceretti, dell’Università di Milano Bicocca.
1. Dignità, diritti e Giustizia ripartiva (interverranno: Luigi Pagano, Alfio Lucchini, Grazia Mannozzi, Laura Cesaris, Antonella Calcaterra, Francesco Maisto, Lia Sacerdote).
Il rispetto della dignità della persona non implica solo che le pene non consistano in trattamenti contrari al senso di umanità, ma impone che siano concepite e realizzate in modo da consentire l’espressione della personalità dell’individuo e l’attivazione di un processo di socializzazione che si presume essere stato interrotto con la commissione del reato.
La pena, quindi, deve intendersi come la ricostruzione di un legame sociale che metta il condannato nella condizione di potersi “riappropriare della vita”, privilegiando l’impegno di responsabilizzazione, invece del puro adeguamento alle regole.
2. L’esecuzione penitenziaria: responsabilizzazione e nuova vita detentiva (interverranno: Silvia Buzzelli, Alessandra Naldi, Giovanna di Rosa, Gloria Manzelli, Mauro Palma).
Fondamentale nella nuova ottica risulta, inoltre, il tema della responsabilizzazione del condannato il quale, oltre a condividere il progetto rieducativo, deve diventarne il consapevole protagonista.
Si prevede, quindi, un’offerta di percorsi riabilitativi affinché il tempo della pena non sia una sorta di sospensione esistenziale, ma un tempo di opportunità per il ritrovamento di sé e del proprio ruolo sociale. Il condannato gode, quindi, di un diritto alla rieducazione ad avere opportunità non occasionali di reinserimento.
3. L’esecuzione esterna: meno recidiva e più sicurezza (interverranno: Gherardo Colombo, Angela della Bella, Francesca Paola Lucrezi, Lucia Castellano)
La sentenza “Torreggiani” ha prodotto una serie di interventi che hanno ridotto il numero di detenuti nelle carceri italiane. Non è sufficiente, tuttavia, aver spostato fuori dal carcere una parte dell’esecuzione penale: occorre chiedersi di che tipo sia la pena alternativa, quali obbiettivi si ponga e quale cambiamento procuri al reo e alla società. La spinta risocializzante, infatti, è contenuto prevalente e fondante della pena.
«Quando nell’opinione pubblica aumenta la richiesta di sicurezza, a seguito di qualsiasi episodio criminale, vengono invocati l’inasprimento delle sanzioni e la ‘certezza della pena’. Bisogna superare la contrapposizione dannosa tra l’esecuzione penale, che non consiste nel carcere, e la sicurezza sociale – afferma Gherardo Colombo -. Anzi sono aspetti da coniugare strettamente insieme. È il momento di parlare di una realistica, opportuna e costituzionale “certezza della funzione della pena”, e cioè certezza della riabilitazione di chi ha trasgredito. Non potrà radicarsi la cultura nuova dell’esecuzione penale senza la garanzia che il percorso di inclusione sociale sia efficace».
È evidente che non vi è alcun intento buonista nel ripudio della concezione “carcerocentrica” dell’esecuzione penale, bensì una razionale ri-meditazione della funzione delle sanzioni e un più agile accesso a esse. Si intende non solo riportare l’esecuzione penale entro una cornice di legalità costituzionale e sovranazionale, ma anche sostituire, quando possibile, al muro di un carcere la proposta di un laborioso cammino di rientro nella comunità per chi voglia e sappia intraprenderlo.