Trump ha chiesto il riconteggio dei voti e una verifica delle schede. In un Paese diviso, serve il coraggio dell’incontro e del dialogo. La riconciliazione passerà da sfide concrete, prima fra tutte la pandemia
di Maddalena
MALTESE
Da New York
«Una battaglia per l’anima della nazione». Joe Biden ha scelto questo motto per la sua corsa alla Casa Bianca e sabato la battaglia è stata vinta scatenando la festa sulle strade, ma senza nessun discorso di rinuncia del suo avversario. Una vittoria che non riunisce il Paese, che non guarisce i veleni e i sospetti, che ha fatto alzare in piedi e uscire decine di fedeli durante la Messa quando si è pregato per la nuova amministrazione, che mescola alle lacrime della gioia quelle della rabbia di chi si sente defraudato.
Joe Biden è il 46° presidente degli Stati Uniti, il secondo presidente cattolico a 60 anni da John F. Kennedy, il più anziano e quello con due mandati da vicepresidente alle spalle, in un contesto di ferite e di lacerazioni. Il candidato democratico ha superato i 270 grandi elettori necessari alla vittoria, guadagnandone 9, ma con margini minimi in ben 4 Stati e con percentuali che hanno spinto gli avvocati del Presidente uscente a chiedere il conteggio dei voti e una verifica delle schede per timore, non provato, di brogli.
E mentre al neopresidente arrivavano congratulazioni da ogni dove, a mancare è ancora Donald Trump, nonostante l’ex presidente Bush abbia inviato le sue felicitazioni e molti repubblicani ripudino la narrativa delle frodi sul voto postale che ha favorito il candidato democratico, senza però scatenare quell’onda blu democratica che avrebbe dovuto travolgere il Paese.
I democratici avranno meno seggi nella nuova Camera dei Rappresentanti pur conservando la maggioranza, mentre resta incerto l’esito al Senato dove al momento la gara è ferma sul pari, a prova non solo della spaccatura del Paese, ma di due partiti che, per quanto provino ad allargare la base di consenso, non convincono del tutto la pluralità americana e le sfide del presente non possono essere risolte dalla dicotomia.
Serve il coraggio di crossing tha aisle, cioè attraversare quel corridoio che separa i due partiti per incontrarsi, tornare a dialogare e trovare soluzioni bipartisan: questo è il mandato che 74 milioni di americani hanno dato a Biden, il candidato che ha ricevuto i voti dei repubblicani dell’Arizona e della Georgia, quelli degli amici del defunto senatore repubblicano McCain e quelli dei ribelli di partito affiliati al Lincoln project. Ma anche quelli degli afroamericani e delle donne di colore che, nella scelta di Kamala Harris, primo vicepresidente donna della storia americana, hanno letto il coraggio di Biden nel rompere schemi e guardare alla nuova America costruita anche dai sacrifici femminili.
La riconciliazione del Paese passerà da sfide concrete, prima fra tutte la pandemia e le sue conseguenze nefaste sul lavoro, sulle imprese, sulla scuola, sulle famiglie. L’altra grande sfida sarà quella della sanità, una riforma necessaria – annunciata da Trump, ma mai attuata -, che nel piano di Biden prevede una maggiore presenza dello stato. Il nodo dell’immigrazione, con gli 11 milioni di immigrati in attesa di uscire dall’anonimato, assieme a quello dei lavoratori stagionali e di quelli specializzati non può essere combattuto solo con ordini esecutivi, ma con una riforma ampia.
Sui macrotemi di rapporti con la Cina, prezzi dei farmaci, big tech, cioè le aziende tecnologiche, le politiche di Biden probabilmente non differiranno molto da quelle di Trump, preferendo però all’America solitaria e sola, il multilateralismo, con un rientro nell’Organizzazione mondiale della sanità e nella Nato, come nell’accordo di Parigi sul clima. Biden manterrà anche i tagli alle imposte che Trump ha firmato nel 2017 per le famiglie che guadagnano meno di 400mila dollari, ma le aumenterà per i redditi alti e si aprirà la questione del condono dei debiti degli studenti universitari e la possibilità di studiare gratis per i figli di famiglie con redditi bassi.
Sul fronte della politica estera, non si registra, sotto l’amministrazione Trump, l’apertura di nessun fronte di guerra. Significativa la ripresa delle relazioni con il leader della Corea del Nord. Da sottolineare poi la firma dello storico accordo di pace e di collaborazione tra Israele e gli Stati musulmani degli Emirati Arabi Uniti e del Bahrein, pregiudizialmente avversari. Non idilliaci invece sono stati i rapporti con l’Europa. Al nuovo inquilino della Casa Bianca il compito comunque di riallacciare i contatti con il vecchio continente e non solo.
«America, sono onorato che tu abbia scelto me per guidare il nostro grande Paese», ha twittato Biden sabato mattina, quando i voti hanno siglato la sua vittoria. «Il lavoro davanti a noi sarà duro – ha continuato – ma ti prometto questo: sarò un presidente per tutti gli americani, sia che abbiate votato per me, sia che non lo abbiate fatto». Sarà questa la sfida più impegnativa.