Durante la sua presidenza nazionale (dal 1987 al 1994) si affermò esplicitamente la necessità di aprire una “nuova fase costituente” per il Paese
Dopo aver ricoperto importanti incarichi nelle Acli a livello regionale, Giovanni Bianchi successe a Domenico Rosati come presidente nazionale dal 31 maggio 1987 al febbraio 1994. La sua ricca esperienza nelle Acli lombarde gli consentì di approfondire “il solco e la radice” delle Acli: il cattolicesimo sociale e politico. Di qui il suo richiamo all’esperienza di Luigi Sturzo e alla spiritualità di Giuseppe Dossetti.
Il Congresso di Milano del 1988 confermò la nuova sintonia dell’Associazione con la componente conciliare della Chiesa italiana (oggetto in quegli anni della più viva polemica da parte dell’area neointransigente), e permise quindi una riaffermazione della proposta aclista sui binari dell’autonoma radicalità cristiana e della presenza solidale e propositiva nella società civile. Se durante la Presidenza di Rosati le Acli erano pervenute alla consapevolezza del “cambio d’epoca”, con Bianchi si afferma esplicitamente la necessità di aprire una “nuova fase costituente” per il Paese.
Già al Congresso di Milano del 1988, nella sua relazione, sottolineò la fase costituente della società e della politica attraversata dal nostro Paese, l’emergere di una nuova cittadinanza sociale, la necessità di nuove regole del gioco per il ricambio dei gruppi dirigenti e per la realizzazione di un’autentica democrazia dell’alternanza. Le Acli, nel linguaggio di Bianchi, si configuravano come “lobby democratica e popolare”.
Questo ritorno alla politica passò lungo due direttrici: la prima consisteva nella scelta per la riforma delle istituzioni; la seconda era rappresentata dalla riscoperta del pensiero sturziano come necessità di una rinnovata progettualità politica dei cattolici democratici e sociali nel momento in cui veniva percepita la fine dell’era democristiana. La centralità delle autonomie locali, la sussidiarietà, l’autonomia della politica, rappresentavano insieme i cardini e le linee di un impegno del cattolicesimo politico italiano.
Sotto la Presidenza Bianchi venne a consolidarsi la partecipazione aclista ai “cartelli” con altre associazioni e soggetti politici, costruiti su singoli obiettivi: quello contro il commercio delle armi (Contro i mercanti di morte); la proposta “Educare non punire” contro la Legge Jervolino-Vassalli sulle tossicodipedenze; l’approccio “costituente” alla tematica delle regole che portò dopo il 1990 al grande impegno dei referendum per la riforma della legge elettorale (che ebbero un decisivo contributo aclista); la mobilitazione contro la legge Mammì sull’emittenza televisiva. I risultati di questa stagione di impegno sono spesso stati visibili ed efficaci sui singoli obiettivi, ma hanno rivelato crescenti incertezze rispetto alla capacità di queste iniziative di costruire strumenti di mutamento globale delle modalità della politica.
Soprattutto dopo il 1991 il cammino del Movimento rivelò nuove accentuazioni, probabilmente proprio per la consapevolezza dei limiti del progetto imperniato sulla società civile, nella profonda crisi di transizione che toccava complessivamente il ruolo dei cattolici in Italia. Il ritorno delle Acli al centro della vicenda ecclesiale italiana venne suggellato con la “liturgia congressuale” del dicembre del 1991, tutta mirata a simboleggiare il superamento della precedente frattura. Bianchi parlò delle Acli come «Associazione di lavoratori cristiani che vivono e attualizzano il magistero sociale della Chiesa». Giovanni Paolo II, ricevendo i delegati, ribadì il carattere della fede cristiana, capace di investire tutta la vita, risottolineando la prospettiva di un impegno unitario di cristiani per il Paese. Senza negare l’autonomia associativa ed il pluralismo interno, si fece quindi evidente il parallelismo delle Acli alla linea assunta dalla Cei, con la Presidenza del cardinale Ruini, per una presenza sociale e politica della Chiesa in Italia.
L’originalità del Movimento sul terreno religioso fu però ulteriormente coltivata, sperimentando anche alcune iniziative di dialogo ecumenico e di confronto ebraico cristiano, e facendo dell’incontro annuale di spiritualità a Urbino, a partire dal 1991, un momento importante della vita della dirigenza aclista. Significativi divennero anche l’interesse per coltivare una specifica “spiritualità della Politica” e la ricerca biblica sulla “Parola ai piccoli”, intesa come perno di un complessivo ripensamento delle dinamiche personali, sociali, civili e politiche. Da qui l’idea che «l’Associazione trovi la sua ragion d’essere nella testimonianza del Vangelo come azione sociale per la giustizia e la solidarietà».
Il sempre più netto e insistito recupero da parte di Giovanni Bianchi della tradizione ideale del cattolicesimo democratico in versione sturziana portò invece l’Associazione a un nuovo dialogo con la Dc, con un impegno crescente a rifondare l’esperienza democristiana (o un’esperienza post democristiana).
Il Congresso aclista straordinario del 1993 ipotizzò la formazione di un ampio cartello democratico e progressista, nella nuova democrazia bipolare. Conseguente alla stessa iniziativa referendaria, in cui collocare una originale e autonoma presenza organizzata cattolico democratica, definita peraltro ancora in diverse occasioni secondo la categoria politica del “centro”. Fu coerente a questa prospettiva la stessa scelta (non interpretabile in senso strettamente personale) di Giovanni Bianchi all’inizio del 1994 di lasciare la Presidenza per candidarsi alle elezioni del nuovo Partito popolare, di cui diventò poi presidente del Consiglio nazionale.
Ricordiamo anche il suo forte impegno profetico per la pace: si recò a Gerusalemme, Baghdad e Sarajevo per missioni di diplomazia popolare.
Bianchi, prima ancora che un politico, era uomo di cultura, intellettuale squisito e appassionato, filosofo e poeta. Le sue pubblicazioni sono così numerose che con facilità ognuno potrebbe farsi nella sua biblioteca personale, uno scaffale a lui riservato: Giovanni Bianchi.
Fonte: www.acli.it