La normativa, risalente al 1996, è ritenuta da più parti insufficiente. In Italia sono più di 550 le associazioni e le cooperative assegnatarie
di Fabio MANDATO
«Approvare la riforma, ferma da un anno e mezzo, sulla confisca dei beni e rafforzare l’Agenzia per i beni confiscati». A lanciare l’appello, il 21 marzo a Locri, è stato don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di “Libera”. È infatti giacente al Senato il disegno di legge “Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (…) Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate”, che dovrebbe modificare la normativa sui beni confiscati, risalente al 1996 e ritenuta da più parti insufficiente ad assicurare un’efficace riutilizzo dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. Le criticità arrivano dalla burocrazia e dai limiti, per gli stessi soggetti potenzialmente interessati a gestire i beni, nel poter accedere alle procedure. Ma è necessario non tradire lo spirito della legge sui beni confiscati: restituire alle collettività territoriali le risorse economiche acquisite illecitamente dalle organizzazioni criminali.
Al 31 dicembre 2015 (ultimo dato disponibile) i beni confiscati erano circa 23 mila. L’Agenzia nazionale dei beni confiscati (Anbsc) – interlocutore tra istituzioni e associazioni per garantirne un pieno e rapido riutilizzo – nelle scorse settimane ha reso noto che gli immobili confiscati alle mafie e destinati dall’Agenzia nazionale sono stati 1.098 nel 2016 (per la prima volta si calcolano le singole particelle catastali), mentre nel 2015 erano 1.731.
«Sui beni confiscati abbiamo il progetto “Ora legale”, rivolto a sensibilizzare i giovani del territorio e far capire che dal bene confiscato può nascere un germoglio forte di legalità», spiega Mariaelisa Giocondo dell’associazione “Don Milani” di Gioiosa Jonica (Rc), che opera nella Valle del Torbido. “Pedagogia della R-esistenza” è invece il nome del percorso avviato sei anni fa presso l’Università della Calabria da Giancarlo Costabile, che vede gli studenti di scienze dell’educazione impegnati in laboratori con la cooperativa “Valle del Marro” a Polistena e a Scampia. «La forza del nostro progetto – precisa Costabile – è l’aver fatto in modo di realizzare una pedagogia in situazione, applicando i concetti che studiamo e andando a vedere come ci siano realtà che resistono al potere della mafia».
In questi giorni, poi, alcuni dei beni confiscati di Milano sono stati teatro del “V Festival dei beni confiscati alle mafie”, iniziativa culturale dell’Amministrazione comunale. «So che spesso è accaduto che alcuni beni confiscati siano stati ripresi e acquisiti dai mafiosi, ma adesso attraverso i bandi del Comune di Milano le richieste di gestione sono sempre ben vagliate e controllate», dichiara Barbara Sorrentini, direttrice artistica del Festival.
«L’esigenza che ha fatto nascere il Festival – prosegue Sorrentini – era far capire alla città che la mafia esiste anche al Nord. A Milano sono quasi 200 i beni confiscati, 700 in Lombardia, e questa è una dimostrazione tangibile del proliferare della criminalità organizzata».
A farle eco Davide Pati, referente di “Libera” per i beni confiscati: «Ormai in Italia si è giunti a un numero di beni immobili aziendali sequestrati e confiscati alle organizzazioni mafiose senza distinzione di territorio, dal Nord al Sud, tale da imporre un’organizzazione, un passaggio dallo straordinario all’ordinario».
In vista del 21° anniversario della Legge 106, “Libera” ha censito i soggetti gestori che hanno usufruito di beni confiscati. Sono più di 550 le associazioni e le cooperative assegnatarie di beni immobili confiscati in Italia e che si occupano d’inclusione e servizi alla persona, d’impresa cooperativa e reinserimento lavorativo, di formazione e aggregazione giovanile, di rigenerazione urbana, di tutela ambientale e promozione della cultura.
«Queste sono realtà sociali che hanno sperimentato un’azione di recupero dei beni con forza e determinazione, ma con pochi strumenti di sostegno – continua Pati -. Negli ultimi anni le indagini condotte da molte Procure della Repubblica hanno portato ad aggredire le ricchezze delle organizzazioni criminali mafiose a Roma, a Milano, a Torino, in Liguria, in questi centri dove sono stati investiti i capitali della droga e dei traffici illeciti. Vedere che i cognomi di quelle famiglie mafiose, i cui beni sono stati confiscati, li ritroviamo al Nord, la dice lunga su qual è il potere che ha permesso, attraverso connivenze, collusioni e complicità a queste organizzazioni criminali di essere ancora forti». Per Pati «il salto di qualità è far rientrare i beni confiscati all’interno delle politiche di coesione del Paese. La proposta, così come anche il Governo ha raccolto, è lavorare a una strategia nazionale di valorizzazione dei beni e delle aziende sequestrati e confiscati, attraverso politiche sociali, educative, del lavoro, culturali, politiche di rigenerazione urbana e di agricoltura sociale».