L’Arcivescovo di Genova e presidente del Ccee in dialogo con il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio all’incontro promosso nella Zona VII: «Una comunità di popoli si edifica solo con la cura dell’anima»

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di Annamaria Braccini

Cardinale Angelo Bagnasco
Il cardinale Angelo Bagnasco

Cosa sta succedendo nella e all’Europa? Da dove ripartire? Quali gli errori commessi a cui si può mettere mano, in modo incisivo, consapevoli dell’indicazione che emergerà dalle Urne, dopo le elezioni del 26 maggio? L’affollata serata svoltasi lunedì 13 maggio all’Auditorium del Centro scolastico Parco Nord di Cinisello Balsamo ha offerto un’interessante analisi dei temi più rilevanti che attraversano l’Ue a due settimane dal voto. L’incontro, uno dei sette promossi dalla Diocesi nelle Zone pastorali, vedeva un ospite d’eccezione, il cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee, in dialogo con il direttore di Avvenire Marco Tarquinio.

Al confronto – moderato dal giornalista Enrico Castelli alla presenza del sindaco di Cinisello Giacomo Ghilardi, del questore di Milano Sergio Bracco e di autorità civili, militari e religiose tra cui il vicario di Zona don Antonio Novazzi e il vescovo Giuseppe Merisi -, ha portato il saluto dell’Arcivescovo il vescovo ausiliare e vicario episcopale monsignor Paolo Martinelli: «Sappiamo quale fu l’alta spiritualità dei Padri fondatori: personalità mosse dagli ideali. L’Europa non può che partire dai problemi concreti, ma ha bisogno di amicizia civica e idealità. Come disse Jean Monnet, “se dovessi rifare tutto quanto ricomincerei dalla cultura”. Ricordiamo che, alla radice dell’Europa, c’è una fede che si è fatta cultura».

Integrazione e chiusure

«Occorre stare attenti ai sensazionalismi, soprattutto di fronte alle elezioni che vivremo – scandisce subito Tarquinio -. L’Europa rappresenta uno straordinario processo di integrazione che ha permesso di vivere in pace per decenni. Quelli che pensano di costruire barriere non hanno capito molto. Vedo dei segnali, il rafforzarsi di correnti antieuropeiste, ma ci sono anche indicatori diversi, come la vittoria in Inghilterra di formazioni locali favorevoli all’Europa. Il processo complessivo è buono, è il meccanismo che andrà cambiato e, forse, dalle urne uscirà una composizione differente rispetto ai partiti tradizionali».

Il cardinale Bagnasco, da parte sua, cita il filosofo Zygmunt Bauman, quando afferma che la «liquidità» della società, senza punti di riferimento certi quali la famiglia, il lavoro, la religione, la scuola, la politica, porta la generazione attuale a guardare indietro. «Questo ricercare i punti di riferimento non è un ripiegamento sul passato, come sostiene Bauman, ma può essere un’occasione per ritrovare le aspirazioni e il cuore più profondi dell’uomo. Vi è, poi, la necessità costitutiva di sapere chi si è. La crisi di identità può accadere anche a un continente. C’è allora bisogno di un volto che può essere insieme particolare e complessivo. Siamo noi a creare opposizioni che non sono nelle cose. Di fronte a difficoltà e delusioni, c’è la reazione istintiva a chiudersi, ma esiste una ragione, che ci dice che non è sostenibile l’idea “meglio soli che insieme”. Nessuno può sostenerlo seriamente. Noi ci realizziamo solo per gli altri e con gli altri: non c’è altra strada, se non recuperare l’io nel noi. Se per interessi particolari si fomenta questa forma di autodifesa illusoria, si favoriranno le chiusure, ma bisogna sapere che, appunto, è un’illusione».

Chiede, Castelli, se e cosa si è inceppato in questi anni. «L’Europa parte dalla geniale intuizione dei tre Padri fondatori – cristiani, figli di terra di confine che avevano vissuto la grande guerra civile europea, ossia i due conflitti mondiali -, di mettersi insieme su ciò per cui ci si era scannati, carbone e acciaio – sottolinea il direttore di Avvenire –. L’integrazione europea ha accompagnato la grandiosa trasformazione del nostro Paese. Il nostro miracolo economico è stato dentro la cornice europea. Non dimentichiamolo. Gli errori, senza dubbio, sono stati seri e concreti, come quando si è avuta la sensazione che l’Europa volesse ingerirsi, senza rispetto, nelle questioni nazionali. Le regole, se rimangono astratte e non si calano nella vita di un popolo, sono effettivamente stupide. È importante che l’Europa dia l’impressione di prendersi a cuore il popolo e non solo le regole. Una casa che ha i bilanci in ordine, ma in cui tutti sono tristi, è una casa in cui i genitori hanno fallito».  

Bagnasco ribadisce il ruolo del Ccee: «I Vescovi europei credono all’Europa unita. Gli episcopati in Europa fanno il loro dovere con le modalità che ritengono migliori per i loro popoli». Per lui la questione cruciale è quella dell’“io”: «Noi respiriamo tutti l’aria inquinata del culto dell’io e lo vediamo anche nelle comunità cristiane. Papa Francesco ha parlato di “egolatria” e questo è un condizionamento culturale creato ad arte. Ma non possiamo fare a meno degli altri, anche quando siamo, gli uni per gli altri, un impegno. Quanto più si affievolisce il cristianesimo, tanto più vediamo la decrescita dell’umano, per cui non si sa più descrivere l’uomo, la famiglia, l’amore. Chi difende la ragione, oggi? Nominalmente tutti, ma solo noi credenti lo facciamo davvero. Oggi la ragione è ridotta alla misurazione delle cose e tutto ciò che non si può misurare non appartiene alla ragione». Come a dire: se noi non crediamo a una ragione intera e integrale che, illuminata dalla fede, sappia riconoscere il mondo dello spirito, su quali basi costruiremo l’Europa? «La comunità di popoli, si edifica solo sulle anime, con la cura dell’anima. L’Europa deve diventare più leggera, che non vuol dire più astratta, ma più efficace, presente, vicina e radicata nei singoli popoli». E, allora, in tale contesto, «ben venga un ripensamento del corpo dell’Europa, delle strutture, degli organismi amministrativi, delle materie di competenza, perché capire ciò che va bene e ciò che non va è questione di buon senso». La domanda è anche sull’emozione creatasi, a livello mondiale, dopo l’incendio di Nôtre-Dame. Chiara la risposta dell’Arcivescovo: «Di fronte alla Cattedrale in fiamme, l’uomo ha manifestato ancora una volta se stesso, dimostrando che ha bisogno di simboli. Il mondo intero ha sentito che si è scoperto un nervo sensibile, non solo artistico o culturale: quello della cura dell’anima. Il dolore ci ha testimoniato quello che siamo e ciò che aspiriamo essere».

Come ripartire?

E, dunque, da dove ripartire e con che tipo di speranza? Per Tarquinio non ci sono altre alternative all’Unione, magari da ripensare con una nuova “Bretton Woods” relativa alle regole: «All’inizio del Novecento gli europei erano un quarto dell’umanità, nel 2050 saranno tra il 7 e 8 %. Questa è la sfida, se l’Europa unita capace di includere saprà continuare a seminare idee come ha fatto nel passato. Tra i grandi dell’economia mondiale oggi ci sono oggi Francia, Inghilterra, Italia, ma tra 20-30 anni non ci saremo più, se non saremo uniti. Se l’Europa smentisce se stessa, il mondo perde l’unico laboratorio che ha saputo pacificamente inglobare popoli divisi da odi nazionalistici per secoli. Come cittadini del mondo, se perdessimo l’Europa, saremmo più poveri, come europei saremmo dei pazzi».

La parola finale è del cardinale Bagnasco: «L’Europa ha bisogno del cristianesimo perché fonda la dignità dell’uomo sul fondamento certo che Dio.  Ma, sul comunicare tutto questo siamo molto indietro e in ritardo. Dobbiamo essere più presenti nel dibattito pubblico per dire le nostre convinzioni. Ne ha bisogno l’Europa perché il cristianesimo è l’unico universalismo in atto, nel rispetto delle differenze nei vari contesti. La comunità europea potrebbe guardare a ciò che cerca di fare la Chiesa. Il cristianesimo è necessario perché l’Europa può ricordare all’umanità che soccomberà se non governa la volontà di potenza dell’uomo e le sue nuove tecnologie. È necessario per chiarire alcuni nodi fondamentali per la civiltà: la dignità della persona, il rapporto tra politica e religione, tra laicità e laicismo, tra natura e cultura, diritto e giustizia. La civiltà occidentale ha bisogno di più umiltà, intelligenza, rispetto e fiducia. Bisogna unificare molte cose, a livello di funzionamento, ma ciò che tocca l’interiorità di un popolo e di una persona, non può essere uniformato».

 

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