L’hanno elaborato una cinquantina di associazioni per portare nell’agenda politica un tema che non è all’ordine del giorno della campagna elettorale. La proposta riconoscerebbe la non autosufficienza come specifica e autonoma rispetto agli altri comparti
di Paolo
BRIVIO
In campagna elettorale dell’argomento non vi è traccia. Eppure, non è esattamente un tema marginale. Riguarda la quotidianità di milioni di persone e famiglie. Più precisamente, i tre milioni di anziani over 85 (uno su due, la maggior parte dei quali vive ancora a casa) che non riescono più a badare a loro stessi, e dunque sono tecnicamente “non autosufficienti”. Una schiera di persone inevitabilmente vasta, in un Paese – l’Italia – che ha una popolazione tra le più longeve al mondo e in cui un cittadino su cinque ha più di 65 anni.
Alle esigenze di assistenza di queste persone e di supporto alle famiglie che se ne curano è dedicata la proposta di un «Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza», elaborata da una cinquantina di organizzazion e illustrata pubblicamente nei giorni scorsi, nel corso di un convegno svoltosi a Roma nella sede di Caritas Italiana.
Una riforma attesa da oltre 30 anni
Caritas e Acli sono i soggetti di punta dello schieramento che, tramite il Patto, mira a sensibilizzare l’opinione pubblica e a sollecitare la politica rispetto all’urgenza di dotare il nostro Paese degli interventi necessari per gli anziani non autosufficienti. La proposta ha una solida base analitica e scientifica, condivisa dalle organizzazioni proponenti sotto la guida del professor Cristiano Gori (Università di Trento), coordinatore scientifico del Patto. L’obiettivo è costruire insieme una riforma dell’assistenza alle persone non autosufficienti, che l’Italia attende da oltre 30 anni.
La proposta elaborata dal Patto prevede la creazione di un unico Sistema nazionale assistenza anziani (Sna), che inglobi tutti gli strumenti, i servizi e le misure dedicati alla non autosufficienza. In questo modo, in linea con gli altri Paesi europei, la non autosufficienza verrebbe riconosciuta come settore specifico e autonomo rispetto agli altri comparti del welfare italiano. La riforma delineata dal Patto punta anche alla garanzia universale dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario e sociale e alla loro integrazione, che va costruita non solo tra settori di intervento, ma anche tra competenze istituzionali (mettendo ordine tra le disposizioni statali, le misure regionali e i servizi locali).
Il riconoscimento dei “caregiver”
Per giungere al riordino dei vari ambiti di assistenza e alla loro innovazione e integrazione, occorre anzitutto superare l’attuale e dispersiva pluralità di valutazioni della condizione di salute individuale. Fondamentale sarà poi la modifica dell’indennità di accompagnamento, da trasformare in una prestazione universale “dosata” sull’effettivo bisogno di assistenza e collegata alla fruizione di servizi di supporto. «Tutto il complesso degli interventi si semplificherebbe – hanno scritto i promotori del Patto in un documento scaturito dal convegno di Roma -, con risposte più facili da ottenere per le famiglie e un maggior riconoscimento del ruolo di operatori professionali e caregiver. Infine, con il nuovo Sna la domiciliarità e la residenzialità saranno più integrate, continue e appropriate».
I promotori del Patto non smettono di credere nell’approvazione (invocata «al più presto») della legge delega su cui il Governo sta lavorando da tempo, evitando il rischio che con il prossimo Parlamento si ricominci tutto daccapo. Nell’ultima settimana di campagna elettorale, può valere la pena provare a capire se vi sono partiti e candidati disposti a farsi carico di un tema fondamentale per la qualità della vita di un’ampia porzione della popolazione italiana.