Detriti, disastri, morti e lacrime di tanta gente

di Bruno CAPPATO
Direttore “La Settimana” (Adria-Rovigo)

alluvioni novembre 2012

Abbiamo visto immagini di dissesto e di tragedia: campagne e paesi allagati, ponti scomparsi e sommersi da acque travolgenti e fangose. Detriti e disastri ovunque; su un ampio territorio che comprende varie Regioni d’Italia. Abbiamo visto le lacrime agli occhi di tanta gente che ha perduto il frutto di sacrifici e di risparmi. Cosa sta succedendo?

L’impressione è quella della disgrazia che si somma a disgrazia, perché nello stesso momento siamo al centro di una crisi economica di proporzioni gravissime, da poco un terremoto ha sconvolto l’Emilia e parte del Polesine e non è ancora spento il ricordo di altri dissesti e di altri danni con lutti e pianti. Diciamo bene che tutto questo panorama di disgrazie fa nascere, comunque sia, forme meravigliose di solidarietà e di aiuto reciproco, ma si è davanti a un danno che tocca tantissime famiglie e che richiede ingenti risorse economiche per essere fronteggiato, perché le persone possano ritrovare serenità e coraggio per andare avanti.

Un Paese che sta tirando la cinghia da mesi e mesi senza vedere la fine di un processo di risanamento difficile e non sempre equo, si domanda: dove troveremo i mezzi per risanare, salvare e riportare a una vita tranquilla paesi e territori così duramente colpiti? I sindaci invocano lo stato di calamità e chiedono stanziamenti urgenti e sostanziosi. Le casse pubbliche sono vuote; i cittadini fanno quello che possono per dare una mano.

Lo ripetiamo: sono sbocciati – per tutti questi episodi di difficoltà, di paura e di danno – fiori di amore in giovani che con semplicità si sono messi a disposizione; sono stati sempre e prontamente posti in atto interventi professionali e accorti di persone impegnate nella Protezione civile, nei Vigili del fuoco, nelle Forze dell’ordine. La parte migliore della popolazione emerge proprio in queste circostanze e siamo certi che questa è la prima, più preziosa ricchezza dell’Italia, purtroppo però poco conosciuta a fronte degli scandali che riempiono ogni giorno le pagine dei giornali e gli schermi della tv.

Da profani che riflessione possiamo fare su questa situazione?

La “vecchia” maestra di una volta – mi si permetta questo riferimento forse un po’ di maniera – diceva a noi alunni di tanto tempo fa che non si dovevano toccare i boschi, che si dovevano amare gli alberi, che le piante erano la protezione dell’uomo e della sua vita e che avevano il compito anche di rendere sicuro il territorio. Ci illustrava i benefici della chioma e delle radici e gli alunni così imparavano a rispettare le piante, ad amarle.

Se quelle parole, quell’insegnamento era di buon senso e corrispondeva alla realtà, ecco che non per volontà di semplificazione, ma con l’intento di andare al centro della questione, è la devastazione e la mancanza di rispetto verso la natura che ha creato le condizioni di questi disastri. Ci vuol poco a vedere che cemento e asfalto sono la nostra diffusa comodità; senza parlare di terreni agricoli velati da una serie immensa di pannelli solari e di altri spazi rubati alla coltivazione da zone dedicate ad attività industriali. La perdita delle piante rende innaturale un paesaggio e l’uomo piano piano costruisce con le proprie mani il suo suolo impoverito, improduttivo e rovinato, la sua natura asfittica e morente. Allora – si dice – la natura si ribella.

Se poi non è proprio così con questa personificazione della natura come se fosse un soggetto che decide qualcosa, certo è che in ogni modo il risultato è, comunque sia, lo stesso. Può anche essere che il mondo in sé – stagioni e ritmi – ha cambiato strada, però una responsabilità, di sicuro, in tutto questo ce l’abbiamo noi.

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