La bocciatura finale dopo tanti brutti voti?

di Nicola SALVAGNIN

Standard&Poor's

I maligni dicono che, per ritoccare in peggio il totem della tripla A (massima affidabilità) della Francia, Standard&Poor’s l’abbia “nascosta” in mezzo a un’insalata di altre bocciature: Spagna, Portogallo, Austria e, purtroppo, Italia. Per la quale continua a piovere sul bagnato. L’agenzia di rating americana – una delle tre più potenti al mondo assieme a Moody’s e Fitch – sostiene che in Italia la situazione sta sì migliorando, ma che permangono dubbi sull’effettiva volontà di cambiare le cose qui nello Stivale e che comunque stiamo dentro a un’Eurozona sempre più fragile e indifesa.

È un giudizio, di un’agenzia che valuta (anche) la qualità dei debiti pubblici degli Stati. Magari con molta cautela quando si tratta di superpotenze come gli Usa o la Francia, dove questa bocciatura rischia di compromettere la rielezione di Sarkozy. Un giudizio che si potrebbe ignorare, o farne sapiente tesoro. Per il commissario europeo agli affari economici Olli Rehn, «le agenzie di rating non sono istituti di ricerca imparziali, ma svolgono il loro ruolo molto in linea con il capitalismo finanziario Usa». Per il suo collega Michel Barnier, «il punto di vista di queste agenzie è solo uno fra tanti».

Tutto vero. Il fatto è che questi “voti” dati dalle agenzie di rating sono tenuti in massima considerazione da una miriade di investitori mondiali, che non hanno la voglia o la competenza di valutare da sé, se l’Italia o lo Zambia siano economie in salute o meno. Vanno per le spicce, perché il denaro si muove alla velocità della luce: gli investimenti sicuri devono andare laddove c’è la tripla A o giù di lì. Addirittura esistono fondi pensione o compagnie di assicurazione che per loro statuto possono investire solo in titoli – di Stato o di aziende private – aventi un certo (alto) giudizio.

Qui il doppio danno: non si riesce a intercettare questo flusso di investimenti, e ogni bocciatura porta con sé l’immediato smobilizzo di titoli non più ben classificati. Un fiume di denaro che si sta riversando sempre di più verso gli ormai pochi Paesi europei che ancora godono del massimo dei voti: Germania, Olanda, Finlandia, Lussemburgo; i cui titoli di Stato, a causa proprio di questa enorme domanda, offrono rendimenti ai limiti del ridicolo. Ma tant’è: sono “sicuri”.

Gli Usa poi sono un caso a sé. Hanno un debito pubblico spaziale, se conteggiato nella sua interezza farebbe degli Stati Uniti un Paese sull’orlo del burrone. Ma è pure un Paese che ha nella manica due assi: può stampare dollari a piacere, cioè la moneta “mondiale” per eccellenza; rimane la principale potenza militare del mondo. Cosa c’entrano i cannoni con la valutazione di un Paese? Niente, niente…

Torniamo allo Stivale, dalla pelle sempre più consunta. Ora certe agenzie di rating ci valutano come il Perù, la Colombia e il Kazakhstan: sono soddisfazioni. Addirittura la Spagna dalla disoccupazione mostruosa e dallo sboom immobiliare che fa tremare banche e risparmiatori, è valutata meglio di noi. Il che fa chiaramente intendere che c’è qualcosa di distorto nella valutazione della reale situazione dell’Italia, uno dei Paesi più ricchi del mondo.

Vista dall’America, dove operano queste agenzie, l’Europa è un continente vecchio e anchilosato, dove c’è anche un’Italia ricca di patrimonio ma anche di troppi debiti accumulati per regalare ai propri cittadini un welfare spropositato e insostenibile: in particolare troppe pensioni a fronte di poca contribuzione; una spesa sanitaria alta e fuori controllo; uno Stato inefficiente e con quattro milioni di dipendenti; squilibri territoriali sempre più accentuati tra un Nord che produce livelli di ricchezza come la Baviera, e un Sud più povero della Slovenia.

Poi noi ci potremo baloccare per settimane sulle medicine di fascia C da vendere anche nelle parafarmacie, o sulle licenze dei taxi a Milano. E tentare di convincere il resto del mondo che vendere la Settimana Enigmistica anche nei bar e non solo nelle edicole ci porterà fuori da queste secche. Il vero problema è che siamo noi italiani che ci ostiniamo a credere di poter vendere il Colosseo alle beote agenzie di rating e ai risparmiatori di mezzo mondo. Ma questi hanno già girato le nostre carte, e ai nostri bluff non credono più. Vogliono fatti, non “riforme” all’italiana. O mettiamo mano alla spesa pubblica e rinsaldiamo economicamente l’Italia, o questi brutti voti ci porteranno a una disastrosa bocciatura finale.

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