I cambiamenti climatici mettono a dura prova un bene fondamentale. Complici anche infrastrutture carenti e sfruttamenti massicci che compromettono le risorse disponibili
di Lorenzo
Garbarino
I segnali di una nuova estate di siccità sono già evidenti. Come nel 2022, le precipitazioni sono state scarse per tutto l’inverno. Dalle montagne la neve ha cominciato il ritiro a marzo e la portata del Po si è mantenuta costantemente sotto i livelli di guardia. Sono i sintomi di un clima che è cambiato e rimarrà tale a lungo, perché oggi in Italia l’acqua non è sparita, ma si presenta con tempi e modi differenti. Con i rischi che comporta: precipitazioni abbondanti, ma in brevi intervalli temporali, sono spesso accompagnate da eventi estremi. Episodi come l’alluvione delle Marche del 16 settembre scorso sono un esempio della portata, a volte distruttiva, del nuovo clima italiano.
In questo contesto si inserisce l’attenzione crescente alla gestione dell’acqua. Anche papa Francesco, prendendo spunto dal recente avvio a New York della conferenza dell’Onu sull’acqua, ha ricordato il valore di questo bene, centrale nell’enciclica Laudato si’: «L’acqua non può essere oggetto di sprechi o di abusi, o motivo di guerre, ma va preservata a beneficio nostro e delle generazioni future».
Questo tema colpisce l’Italia soprattutto sul fronte dello spreco idrico. Le carenze delle infrastrutture italiane sono tali che nelle tubazioni si disperde in media il 40% dell’acqua, un dato che in Abruzzo e Basilicata sale fino al 60%.
Oltre alle perdite, spesso l’acqua è sprecata per attività improprie. Lo rileva Andrea Masullo, direttore scientifico di Greenaccord, un’associazione cattolica per la salvaguardia del creato che si muove su scala internazionale per la formazione dei giornalisti che scrivono di ambiente: «Capita che si utilizzi l’acqua sbagliata per alcune attività. Spesso le acque di sorgente, potabili, vengono usate per usi non domestici, come per esempio per lavare le strade, quando basterebbe quella depurata da altre fonti».
Cosa fare in agricoltura
Il fronte più sensibile per l’impiego dell’acqua riguarda però l’agricoltura. «Per il settore si utilizza il 70% delle risorse idriche – afferma Masullo – . Numeri legittimi, ma dovremmo imparare a modularle, adattandoci ai cambiamenti climatici per un uso meno massiccio». Non mancano altri esempi raccontati da Masullo: un miglioramento della qualità organica dei terreni, ottenibile evitando concimi chimici o arature profonde, consentirebbe il risparmio necessario per mantenere stabili le coltivazioni. Le esperienze nel settore non mancano a livello internazionale: l’introduzione di varietà di riso che non richiedono l’allagamento della risaia è solo un esempio che Masullo offre per mostrare come l’India abbia risposto al problema della scarsità idrica.
Sperimentazioni che, tuttavia, per Masullo sono ancora al principio in Italia: «Oggi c’è ancora tanto da fare. Bisognerebbe cominciare perlomeno a provare queste tecniche nella Pianura Padana. Stiamo invece andando un po’ alla cieca, non facendo ciò che si dovrebbe con l’urgenza necessaria sulla mitigazione dei cambiamenti climatici».
Il mutamento del clima è infatti un fenomeno inevitabile già da tempo e conviverne con gli effetti è un obbligo inderogabile per gli agricoltori. Per evitare di trovarsi impreparati, per esempio, alla risalita dell’acqua salata nei fiumi. «L’aumento del livello del mare – sottolinea Masullo – porterà a una sempre più frequente risalita di acqua calda nei fiumi, che renderanno inutilizzabili le falde costiere. Nei decenni il processo si incentiverà, perché ormai la crescita del livello del mare – anche se diventassimo improvvisamente virtuosi a livello mondiale – continuerebbe almeno per 300 anni».