La sperimentazione, appena approvata, dell’“Assegno di ricollocazione per la disoccupazione” va in questa direzione
di Andrea CASAVECCHIA
Viviamo una forte fluidità del mercato del lavoro e le azioni messe in campo dopo la crisi economica lasciano immaginare che in futuro, almeno nel breve termine, la situazione non varierà molto. Da una parte si sono resi meno vincolanti i contratti di lavoro, con il famigerato “Jobs act” ad esempio, dall’altra parte le imprese attuano azioni di ristrutturazione che prevedono forti informatizzazione e digitalizzazione, e quindi una riduzione delle persone impiegate e la ricerca di professionalità particolari.
Così sebbene si riattiva l’economia, i tassi di disoccupazione non diminuiscono allo stesso modo: le diverse rilevazioni mensili Istat continuano a porre il tasso totale intorno al 12%, poco sopra o poco sotto, a seconda del periodo; il dato giovanile, che in Italia è sempre stato un punto debole, si aggira armai da tempo intorno al 39%.
Dentro un mercato fluido occorre attivare pratiche dinamiche per l’inserimento lavorativo. La sperimentazione, appena approvata, dell’“Assegno di ricollocazione per la disoccupazione” va in questa direzione. Certo ha forti limiti, però va riconosciuto un primo passo verso l’accompagnamento delle persone in difficoltà.
L’idea di fondo della misura è condivisibile: fornire a chi è in cerca di lavoro l’occasione di ricevere un’assistenza per orientarsi e inserirsi di nuovo nel mondo produttivo. Si tratta di concedere dei voucher individualizzati, da erogare a enti riconosciuti perché questi possano effettuare un servizio di accompagnamento per il ricollocamento di quella precisa persona. Si tratterebbe di studiare e pianificare un percorso specifico di reinserimento. Se il risultato venisse raggiunto, a seconda della difficoltà dell’impresa, l’ente verrebbe premiato: più è difficile trovare un lavoro a quella persona, più varranno i voucher concessi.
La traduzione pratica però presenta qualche criticità. Innanzitutto la gestione dei voucher, come misura di politica attiva per il lavoro, è assegnata all’Anpal (Agenzia nazionale per le politiche del lavoro), però i Centri per l’impiego e i vari enti, riconosciuti e da riconoscere, agiscono a livello territoriale in particolar modo regionale, ci saranno quindi problemi da affrontare legati alla governance dei processi. Inoltre la sperimentazione della misura coinvolge un numero di utenti esiguo rispetto al totale: si prevede di raggiungere tra le 20 o le 30 mila persone rispetto alle oltre 1 milione e 100 mila che ne avrebbero diritto. Ma soprattutto l’estrazione è la modalità di scelta di queste persone. Forse sarebbe stato più opportuno ragionare su alcuni profili da accompagnare invece che affidare la decisione al fato. Infine c’è l’effettiva rete degli enti sul territorio che in confronto ad altri Paesi è involuta, i Centri per l’impiego sono sottodimensionati e le diverse agenzie del lavoro sono efficaci solo in territori con risorse economiche solide, negli altri casi non producono grandi risultati.
Accompagnare i disoccupati nella ricerca di un nuovo lavoro è senz’altro tra le politiche attive più importanti, ma per concretizzare l’intenzione, l’impegno dovrà essere veramente importante e di prospettiva ampia.