Una riflessione sui fronti di sofferenza e, d’altra parte, sui picchi di grandezza
di Giulia Paola
Di Nicola
Agensir
Mi piace sottolineare in questo 8 marzo l’evidente contrapposizione tra gli abissi delle violenze e le vette del podio. Sono molti i fronti dell’immane sofferenza di uomini e donne, mi soffermo su alcuni.
La guerra
La tv espone donne lacerate dal dolore, quelle russe, obbligate a lasciar partire mariti e figli giovinetti verso una morte annunciata; quelle ucraine che piangono e fuggono non si sa dove, oppure restano vicine ai loro uomini in guerra e ai malati, o infine si rinchiudono al freddo negli scantinati; vi sono donne violentate davanti ai figli e poi uccise, bambine che al posto delle canzoncine sono atterrite da esplosioni continue, anziane che non sanno dove sono i loro cari e se sono vivi, con i volti solcati da rughe, ferite, lacrime, preghiere, ridotte ad auspicare la morte… fiumi di dolore che non sappiamo dove e quando andranno a sfociare nella pace gridata dall’Occidente sazio.
Le migrazioni
Troppe sono le migranti, quelle anonime che affogano o vengono affogate e se ritrovate sono sepolte in casse segnate da codici. Come non piangere con quelle madri a cui le onde hanno strappato e sommerso i loro piccoli? Non sapremo mai di gesti eroici di mamme e papà che sono riusciti a salvare i figli dando la loro vita: santi senza nomi e altari, che conosceremo solo nell’aldilà. Le donne che riescono – Dio solo sa come – ad arrivare da noi, rischiano il circuito della prostituzione, subiscono sguardi malevoli chiedendo l’elemosina e se va bene, trovano tetto e cibo come domestiche e badanti.
Calamità e persecuzioni
Ci sono poi le donne sepolte vive dai terremoti e le sopravvissute, che piangono e pregano Allah senza posa, giorno e notte, aspettando – spes contra spem – un minimo segnale di vita sotto terra, gridando aiuto e provando anch’esse a scavare.
Non è giusto che troppo spesso cada nel silenzio la carneficina di donne e uomini cristiani uccisi a causa della loro fede. Non è solo una questione di conflitto tra religioni, ma il marchio della dittatura.
Cresce la solidarietà per le sorelle dell’Iran. L’Anci ha promosso una campagna internazionale per questo 8 marzo a sostegno delle donne in Afghanistan e Iran. Non ci sono bombe ed esplosioni, non palazzi distrutti e macerie, ma una guerra quotidiana, dall’agosto 2021, quando i talebani hanno conquistato il potere e negato alle donne di lavorare, andare al parco, al ristorante, fare sport, viaggiare, andare a scuola dopo i 12 anni. Non poche studentesse sono state intossicate a scuola, alcune sono morte, di altre si sono perse le tracce. Impossibile ottenere giustizia contro la violenza in famiglia, dove le donne sono dovute ritornare, essendo stati chiusi 16 rifugi e 12 centri di orientamento familiare. Onore alle ragazze coraggiose che sfidano un regime iniquo e corrotto tagliandosi i capelli e togliendosi il velo. L’attrice F. Motamed-Arya in un video ha gridato: «In un Paese che, nelle proprie piazze, uccide ragazzi, ragazzine e giovani che chiedono solo libertà, non voglio essere considerata una donna. Io sono la madre di Mahsa! Sono la madre di tutti i giovani uccisi in questo Paese! La madre dell’Iran intero».
Vittorie e affermazioni
Sul “podio” invece salgono donne sportive felici e “toste”, che hanno saputo mirare e sacrificarsi per obiettivi alti, in particolare le stelle dello sci: Sofia Goggia e Federica Brignone, e a quelle alle loro spalle: Deborah Compagnoni, Isolde Kostner, Karen Putzer e Stefania Belmondo. Guardandole, forse altre ragazze vorranno imitarne la grinta e impegnarsi a dare piena realizzazione ai loro talenti.
Sul podio salgono anche le due leader dell’Italia: Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Abbiamo a lungo lavorato sulla partecipazione politica femminile e ora vorremmo vedere donne che danno prova di un agire davvero innovativo, capaci di convergere sui contenuti più che sulle immagini, di lottare contro le ingiustizie insopportabili e anche contrapporsi, ma non per la conquista e il mantenimento delle posizioni di potere. Sarebbe nuovo vederle ascoltarsi prima di legittimamente distinguersi e articolare priorità e programmi evitando la moda “maschile” del rifiuto pregiudiziale e costante di tutto ciò che non viene dalla propria parte. La democrazia ha bisogno di una opposizione fondata e cittadini che non si limitano a slogan ideologici e stridule rivendicazioni di diritti.
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