Alla Facoltà teologica, con l'intervento dell'Arcivescovo, presentate le opere realizzate da giovani studenti di Brera per il progetto promosso insieme all'Accademia nel nome di San Paolo VI

di Annamaria Braccini

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La lunga storia della committenza di carattere religioso e il rapporto tra la Chiesa e gli artisti. Il «divorzio abbastanza clamoroso» o, perlomeno, l’indifferenza reciproca che si è registrata nell’epoca moderna e contemporanea, le speranze e gli auspici per l’avvenire. Alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale si parla di arte sacra, di giovani, di fede e di Giovanni Battista Montini-Paolo VI, grazie all’interessante progetto che ha portato, con brillanti risultati, alcuni studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera a lavorare per più di un anno sulla figura del Santo, già Arcivescovo di Milano, con un cammino di “avvicinamento” i cui frutti (per ora una ventina) sono esposti presso la prestigiosa sede dell’ateneo, a poche centinaia di metri dall’Accademia stessa.

Una prima presentazione dei lavori – molto diversi tra loro come tecnica compositiva, e che troveranno posto prossimamente in alcune chiese -, ha visto presente, oltre ai giovani autori, un parterre di rilievo. Anzitutto l’Arcivescovo, accanto al preside della Facoltà don Massimo Epis, al direttore di Brera Giovanni Iovane, ai coordinatori del progetto don Cesare Pagazzi e Andrea Del Guercio, a docenti ed esperti, accompagnati dall’attrice Lucia Vasini, impegnata nella lettura della famosa omelia rivolta da Paolo VI agli artisti nella Cappella Sistina nel 1964, arricchita dalle musiche eseguite al piano dal maestro Gaetano Liguori. Non mancano gli interventi di Carlo Capponi, responsabile dell’Ufficio diocesano dei Beni culturali e del teologo monsignor Claudio Stercal, docente in Facoltà, che conclude l’incontro definito di «amicizia e arte», perché – seppure il progetto su Paolo VI sia inedito – la collaborazione tra i due atenei prosegue da circa 14 anni, anche grazie all’impegno di monsignor Pierangelo Sequeri.

L’intervento dell’Arcivescovo

L’Arcivescovo centra la sua attenzione sul tema della committenza, «che può essere una sorta di seduzione, invitando l’artista a concedersi, magari a un mondo che gli è estraneo, a una richiesta che viene da un’istituzione di cui conosce soltanto qualche aspetto esteriore e superficiale. Che può divenire persino una forma di “ricatto” o, talvolta, l’occasione che nasce da una sorta di complesso di inferiorità della Chiesa, inducendo l’artista a una prestazione così autoreferenziale da rischiare l’incomunicabilità con la comunità cristiana». C’è poi la committenza come vocazione, ben esemplificata dall’iniziativa che si presenta: «Un dialogo che si fa provocazione alla libertà dell’artista a entrare in una comunità, in un linguaggio, in una tradizione, in una capacità di provocare i destinatari a un percorso coerente con il senso della Chiesa e della sua missione». Da qui «l’auspicio che gli artisti si sentano non solo gratificati da un riconoscimento, ma provocati a una interrogazione, a un cammino spirituale, a un incontro con un popolo credente che, da un lato, apprezza la loro opera e, d’altro, contribuisce a creare questa opera d’arte, perché nasce, appunto, da un incontro e non semplicemente da una commissione».

Parole da tutti condivise, cui fa eco don Epis: «Il riferimento religioso oggi non appare scontato, tanto meno necessario, come già notava Paolo VI. Però anche questa mutazione di scenario può costituire un’opportunità, nella misura in cui ci aiuta a ricordare che la questione di Dio, se ha un senso, lo trova e lo deve esibire in rapporto alla nostra umanità. Rispetto a questo obiettivo, i giovani – spesso inseguiti e blanditi per interessi mercantili – detengono un potenziale mirabile; non fosse altro che per la fierezza con cui si appellano alla loro libertà e per il loro azzardo creativo. Chiunque, a ogni età, riesca a mantenere questa fierezza e questo azzardo, tiene aperte le domande dell’anima che riguardano il destino delle nostre scelte e delle nostre progettazioni e il segreto dell’origine che ci abita. Guardando alle opere dei nostri giovani artisti, sembra che abbiano voluto intercettare proprio questo profilo di Paolo VI: quello di un uomo che, in nome della sua fede in Gesù, si è lasciato pienamente coinvolgere nel mistero della vita umana».

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