La riflessione dell'Arcivescovo ha concluso la serata «La Bibbia nella Selva», che al Teatro Carcano ha coronato un percorso culturale e didattico dedicato al capolavoro dell'Alighieri

di Annamaria Braccini

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La sapienza e l’insieme come parole con cui interpretare la Divina Commedia e, soprattutto, lo spirito del suo creatore Dante. Termina così, con una breve riflessione dell’Arcivescovo – in risposta al alcune domande del moderatore, il giornalista Alessandro Zaccuri -, la serata dal titolo «La Bibbia nella Selva», che al Teatro Carcano conclude l’iniziativa omonima, con la presenza di qualificatissime voci che approfondiscono il rapporto tra l’Alighieri, la Commedia e la Bibbia, allargando lo sguardo al contesto sociale e storico nei quali l’opera nacque.

«La sapienza biblica è quella gioia che viene dalla verità di Dio e dalla conoscenza delle cose. Il tema della sapienza ha dimensioni religiose, intellettuali, affettive, religiose, tecniche – osserva l’Arcivescovo – e io sono sempre stupito della cultura di Dante e di come sappia comporre con pertinenza citazioni, allusioni, conoscenze. Questo ci dice come il suo percorso spirituale, con l’attingere, alle varie tradizioni sia un elemento di gioia e di conversione. Mi sembra che la gioia della verità che possiamo identificare con la Sapienza biblica sia anche la guida di Dante per il suo itinerario spirituale».

Poi l’«insieme»: «Questo poema è un grandioso affresco corale, nel quale anche l’incontro con il peccato e, via via, con le persone contemplate come modelli di vita, ci dice che, nella Commedia, Dante raffigurando la varia umanità, indica come lui faccia parte di questa stessa umanità peccatrice, purificata, glorificata. Per tale cammino, “insieme” è un termine un poco riduttivo e forse per dire l’appartenenza all’umanità e l’intensità di questo essere insieme bisognerebbe parlare, per la Commedia, del verbo che si è fatto carne e che dà speranza a tutta l’umanità».

La serata

«Dante si è misurato con la Bibbia facendola rivivere, non a integrazione della sua opera, ma quasi interloquendovi: un unicum nella nostra letteratura», dice in apertura Zaccuri, che ricorda le tante le associazioni che hanno reso possibile, in questi mesi, il percorso della «Bibbia nella Selva», pesantemente segnato dalle restrizioni dovute alla pandemia, ma comunque realizzato grazie alla collaborazione con l’Associazione culturale Synesio, al patrocinio della Società Dantesca Italiana e al supporto dell’Arcidiocesi di Milano, della Biblioteca Ambrosiana, della Fondazione La Vincenziana e della Fom, ma anche del Centro culturale Asteria, che ha messo a disposizione il proprio teatro per incontri didattici.

«Come si entra nella Divina Commedia? Facendo silenzio, sperimentando la bellezza e aprendo gli occhi», aggiunge Zaccuri, dando la parola a Pietro Boitani, uno dei più grandi critici italiani e a lungo docente di Letteratura comparata, al biblista e priore di Bose Luciano Manicardi e a Marco Martinelli, fondatore con Ermanna Montanari del Teatro delle Albe di Ravenna: una delle iniziative più innovative del panorama italiano, capace di coinvolgere migliaia di persone attraverso una chiamata pubblica dei cittadini invitati a un cammino dantesco attraverso le tre cantiche, portato anche a Matera (il Paradiso previsto per questo anno si svolgerà nel 2022). Sua la regia di un breve docufilm proiettato all’inizio della serata e girato a Kibera – «selva» in lingua shwaili -, uno slum di Nairobi in Kenia, dove una ragazzina, dell’età che avrebbe avuto la Beatrice dantesca, parla della Commedia. Poi il Canto XXXIII – quello del conte Ugolino – letto dallo stesso Martinelli.

«Credo che avesse ragione Etienne Gilson, quando disse che nessun linguaggio era più congeniale a Dante che quello della Scrittura – nota Manicardi -. Basti pensare all’inizio del poema che riecheggia di alcuni richiami scritturistici. Ciò che Dante vuole offrire è qualcosa di divino, applicando la dottrina medioevale, ma di origine giudaica dei quattro sensi compositivi: letterale, allegorico, morale e spirituale».

Fa eco Boitani: «Quella di Ugolino è una passione con la “P” maiuscola, come diceva Gianfranco Contini, che segna una specie di scansione dei tempi che è il contrario della creazione. Spesso Dante crea la “sua” teologia: esempio ne sia il Canto XXIX del Paradiso in cui egli descrive, attraverso la voce di Beatrice, la creazione, quasi a correzione della Genesi».

Sui Salmi «che sono poesia e preghiera e radunano in sé i linguaggi più evocativi che ci siano», si sofferma ancora Manicardi: «Dante ha ben coscienza della difficoltà di rendere la forza, la dolcezza e l’armonia dei Salmi, ma tutto ci dice di una presenza massiccia della salmodia nella poetica biblica della Commedia. Per esempio, il Miserere, il Salmo 50 (51) è citato ben tre volte nel Purgatorio, accompagnandone le anime, ed è elemento decisivo della vita stessa di Dante».

«Dante è un grande teologo, perché ci indica una direzione, un amore. Il Paradiso è eros puro, purificato in caritate, ma amore. Se l’amor muove il cielo e le altre stelle, non può che muovere anche noi», conclude Martinelli che legge brani commoventi del primo Canto della terza Cantica. 

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