Il Vicario presenta la Settimana dei Centri culturali cattolici (23-29 novembre): «Una rete di sentinelle che vogliono svegliare il corpo della Chiesa». E dice: «Da note emittenti spiegazioni affrettate a questa emergenza. Per capire, invece, serve una riflessione in profondità»
di Annamaria
BRACCINI
Avrà inizio lunedi 23 novembre e sarà la prima “Settimana dei Centri culturali cattolici” della Diocesi di Milano: 26 eventi – tutti online, che vedranno coinvolti molti dei 103 Centri diffusi sul territorio diocesano -, per un’attenzione, come ha specificato l’Arcivescovo, «anche alla cultura in questo tempo di emergenza spirituale». Un richiamo che monsignor Luca Bressan, vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione sociale, sottolinea proprio in riferimento al momento presente e alla necessità che sia interpretato, non solo dal punto di vista sanitario ed emergenziale, ma anche da quello culturale e sociale.
«C’è bisogno di cultura – dice infatti – perché, come ha segnalato più volte l’Arcivescovo, il rischio è che la pandemia ci renda come storditi dall’imminenza di una possibile morte o di una trasformazione della società che non riusciamo a dominare. Siamo tutti come paralizzati, sospesi in questa “bolla” che ci impedisce di vivere. Penso, per esempio, a note emittenti che, in questi giorni, hanno cercato di raccontare l’origine di questa pandemia, con spiegazioni affrettate e non all’altezza della domanda antropologica che la situazione pone. Per questo serve una profondità che può venire dalla preghiera e anche da quella forma particolare di preghiera e di concentrazione che è la cultura cristiana. In una parola, occorre tornare a cercare le vie del divino».
In che modo la cultura può aiutare questo cammino?
Sono tante le vie che noi cattolici abbiamo per porci interrogativi sul presente. Ciò che serve ai cristiani in particolare, ma a tutti gli uomini, è trovare le energie per ascoltare in profondità un tempo che davvero è difficile da comprendere, ma che è sicuramente contemplato nel disegno di Dio. Questo richiede l’attenzione e l’esercizio di ciascuno: non si tratta, qui, dell’intuizione di una persona singola o di qualche gruppo, ma di trovare un’ermeneutica – il senso di questo tempo -, come ci chiede l’Arcivescovo. Tale risultato sarà il frutto dell’ascolto e del lavoro di tutti e, ovviamente, i Centri culturali non potranno essere assenti da questo cammino di crescita.
Come a dire che i Centri sono realtà peculiarmente preposte a quell’essere «autorizzati a pensare» per cercare la sapienza, indicando che «la situazione è occasione»…
Siamo in Avvento: è bello pensare che i Centri culturali siano come una rete di sentinelle che vogliono svegliare tutto il corpo della Chiesa, con le sue comunità, a cogliere il senso dell’occasione del tempo presente. La bellezza di questa iniziativa non è la singola realtà che si attiva, ma l’insieme delle realtà che fa comunione e, in questo modo, trasforma la Chiesa, offrendo una possibilità di cambiamento utile anche alla società e alla cultura.
Il titolo dell’iniziativa è «Risvegliare l’umano». In questo tempo di emergenza in molti campi, anche in quello spirituale, si può dire che bisogna trovare nuovi spunti nell’arte della ripresa?
L’infinito del titolo va interpretato, perché è voluto, ma può essere anche frainteso. Voluto perché questo risveglio non avviene da solo: abbiamo bisogno di un fratello e di una sorella che ci tocchino, ci scuotano, ci aiutino a risvegliarci. L’infinito non vuole dire che lo facciamo solo in modo attivo verso altri, ma che tutti abbiamo bisogno di essere risvegliati. Ecco il senso di quest’iniziativa nel tempo di Avvento, che per noi ambrosiani è il tempo del risveglio, e mai come quest’anno capiamo la metafora all’origine dell’Avvento. Le “dense tenebre” di un orizzonte cupo, per squarciare le quali non sta un grande faro artificiale, ma la luce di una persona, il Figlio di Dio che, con la sua piccolezza e la sua fragilità, dà un senso nuovo a tutte le cose. Questa è l’immagine che deve guidare il risveglio dell’umano.