La richiesta alle autorità: «Rispondano o meno ai criteri che permetterebbero loro di chiedere asilo in Europa, non possiamo permettere che muoiano di fame, freddo e stenti ai confini del nostro Paese»

di Anna T. KOWALEWSKA
Agensir

Bielorussia: agenzie dell’Onu portano soccorsi ai migranti (foto Ansa /Sir)
Bielorussia: agenzie dell’Onu portano soccorsi ai migranti (foto Ansa /Sir)

«Non possiamo osservare con indifferenza le sofferenze che patiscono quelle persone, a prescindere dalle ragioni per le quali si trovano al confine polacco». Recita così l’appello, lanciato il 16 novembre a tutta la società polacca, dei volontari e dei membri di varie organizzazioni non governative impegnati nel soccorso e nell’accoglienza dei migranti. «Indipendentemente dal fatto che rispondano o meno ai criteri che permetterebbero loro di chiedere asilo in Europa, o se invece debbano tornare nei Paesi di provenienza – si legge nell’appello -, non possiamo permettere che muoiano di fame, di freddo e di stenti nel nostro Paese».

La zona rossa

Ormai da giorni i gruppi di volontari forniscono beni di prima necessità alle migliaia di migranti ammassati lungo il filo spinato che divide la Polonia dalla Bielorussia.

«Se sarà necessario i soldati dell’esercito e le guardie non esiteranno a usare le armi», è stata la risposta della portavoce delle Guardie di frontiera polacche, il sottufficiale Anna Michalska, alla domanda di uno dei giornalisti nel corso di una conferenza stampa organizzata dalle autorità polacche al limite della zona rossa, istituita lungo il confine, larga 3 chilometri e alla quale possono accedere solo i residenti dei villaggi frontalieri.

Al momento i migranti che cercano di valicare la frontiera ed entrare in territorio polacco vengono respinti con i gas lacrimogeni e idranti. Non ci sono però ambulanze per portare loro soccorso. Ai medici e infermieri, così come ai giornalisti, è vietato avvicinarsi alla zona rossa.

Situazione complessa

Le autorità polacche considerano infatti l’arrivo dei migranti un «attacco ibrido alla frontiera esterna dell’Ue». Per questo stanno già predisponendo un muro di cemento armato alto 5,5 metri lungo tutti i 180 chilometri del confine con la Bielorussia. Un’iniziativa decisa dal Parlamento di Varsavia ai primi di ottobre, e poco dopo approvata anche dal presidente Andrzej Duda e sulla quale, secondo i vari sondaggi, più della metà della società polacca si sarebbe dichiarata favorevole.

Sul campo, la situazione è a dir poco disastrosa. Le guardie di frontiera, la polizia e l’esercito polacco raccontano di assalti, specie la notte, da parte dei migranti che, armati di pietre e fionde, provano a distruggere la recinzione di filo spinato aiutandosi con travi di legno.

Sempre secondo le forze di polizia, i migranti sarebbero «sostenuti» da agenti mascherati delle forze speciali bielorusse. «Attacchi veri e propri da cui dobbiamo difenderci», conferma la polizia di frontiera, secondo cui si sarebbero verificati anche casi di accecamento delle guardie dovuti all’uso di puntatori laser.

Almeno dieci vittime

Non ci sono dati ufficiali che confermerebbero il numero di migranti morti nel tentativo di superare il confine, ma secondo le stime ufficiose lungo la frontiera sarebbe già stati trovati almeno dieci corpi. Ai magistrati polacchi spetta il compito di procedere alla loro identificazione e, successivamente, di informare le rispettive ambasciate e infine restituire le salme. Finora sul territorio polacco si è svolto solo il funerale di un ragazzo siriano, organizzato dalla comunità musulmana di uno dei villaggi dove vivono molte famiglie di origini tartare e di fede islamica. I familiari della vittima in Siria hanno assistito al rito funebre online.

«Il nostro appello è rivolto alle autorità di governo affinché ci autorizzino a portare aiuti umanitari nella zona rossa, di assicurare le cure mediche alle persone che ne hanno bisogno. E coloro che più ne hanno bisogno si trovano proprio alla frontiera», afferma Helena Krajewska, esponente di Azione umanitaria, l’associazione polacca che, insieme con la Comunità di Sant’Egidio, la Fondazione per i diritti umani di Helsinki, il Forum dei migranti, membri dello storico Circolo dell’intellighenzia cattolica di Varsavia e numerosissimi cittadini polacchi, ha sottoscritto l’appello inoltrato alle autorità. Cresce infatti il numero di coloro che, «indipendentemente dalle opinioni politiche e convinzioni religiose», non possono voltare la faccia da un’altra parte consapevoli del fatto che «le fondamenta etiche della nostra civiltà ci obbligano a nutrire gli affamati».

Le parole del Primate

Nel loro appello, i firmatari del documento ricordano poi le recenti parole del Primate di Polonia monsignor Wojciech Polak, relative ai migranti: «La sofferenza di quelle persone è la nostra sofferenza. Il fatto che essi sino così brutalmente sfruttati ai fini della lotta politica non può esimerci dal vedere in loro nostri fratelli. Non è lecito convincerci che la loro sorte non ci riguarda». E sottolineano: «Portare aiuto agli affamati al gelo è sempre un’azione legale e come tale deve essere riconosciuta».

Un aiuto che però non può restare legato alla buona volontà della gente. «Al momento – viene spiegato nell’appello – il peso dei bisogni dei migranti è troppo gravoso perché possa essere portato avanti solo da cittadini che già necessitano di un sostegno da parte delle organizzazioni umanitarie professionali».

I lumini verdi

Molti degli abitanti della zona frontaliera, ogni sera, accendono all’ingresso della loro casa una lanterna verde che significa “via libera”. Accolgono i migranti con zuppe bollenti preparate in grandi pentoloni, li riforniscono di indumenti caldi, portati dalle città vicine, fuori dalla zona rossa, dove possono giungere dei camioncini (spesso privati) con raccolte organizzate in tutti i centri della Polonia, da Czestochowa a Poznan e Danzica, e poi li lasciano scappare nella notte, sperando che la fortuna li aiuti.

I firmatari dell’appello chiedono a tutti i polacchi di buona volontà «di parlare della crisi alla frontiera con familiari e amici per aiutarli ad accorgersi delle sofferenze dei migranti e a capire la situazione»; chiedono «di rivolgersi agli uomini di Chiesa con richiesta di parlare in difesa dei sofferenti e impegnarsi per la soluzione della crisi»; chiedono «di aiutare coloro che portano aiuto, di rispondere ai loro appelli e raccolte fondi»; chiedono «di usare tutte le forme di comunicazione per convincere le autorità nazionali ad autorizzare gli aiuti umanitari nella zona rossa» e infine «di accendere ogni sera nella propria finestra un lumino verde nel segno di solidarietà».

L’iniziativa simbolica della “lanterna verde” ricorda tanto la candela accesa da Giovanni Paolo II la sera della vigilia di Natale del 1981 nella finestra della biblioteca del Palazzo apostolico, in segno di solidarietà con la Polonia.

Pochi giorni prima, infatti, il regime aveva introdotto la legge marziale sospendendo tutte le libertà civili e democratiche contro il movimento Solidarnosc e circa 10 milioni di polacchi. Erano altri tempi ma in quella Repubblica popolare di Polonia tutti cantavano la versione adattata di L’Estaca (Senza libertà) del bardo catalano Lluìs Llach. Una canzone che profeticamente già allora parlava dei muri. Muri che «che sarebbero crollati per seppellire il vecchio mondo».

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