Sono giunte a Milano in volo da Kabul otto dottoresse della Fondazione Veronesi insieme alle loro famiglie, subito assistite dalla Caritas ambrosiana, dai volontari delle parrocchie e dai francescani
di Francesco
CHIAVARINI
I primi afgani ad arrivare a Milano sono state le collaboratrici della Fondazione Veronesi: 8 dottoresse che lavoravano al centro di prevenzione per il tumore al seno aperto dalla ong italiana ad Herat. Imbarcate su un volo dell’aeronautica militare a Kabul sono giunte a Fiumicino giovedì 19 agosto e dallo scalo romano sono state trasferite, con mariti e figli (in tutto 34 persone) nel capoluogo lombardo dove su indicazione della Prefettura sono state accolte in un albergo in via Panfilo Castaldi.
Il volo che le ha salvate dai talebani che hanno riconquistato il Paese non poteva attendere. Per questo non c’è stato nemmeno il tempo di fare le valigie. Così quando si sono risvegliate nelle loro camere erano finalmente al sicuro ma non avevano nulla: nemmeno il ricambio della biancheria intima. A provvedere a queste prime necessità, su richiesta della stessa Fondazione Veronesi, è stata la Caritas Ambrosiana. «Erano felici per essere riuscite a scappare, molto grate alla Fondazione che si era attivata per farle giungere in Italia ma ovviamente molto preoccupate per il futuro e provate dal viaggio – racconta Domenico Luchetti, volontario della parrocchia di Santa Francesca Romana, che si è dato da fare per gestire gli aiuti – La prima cosa che ci hanno chiesto è di potersi cambiare perché con sé non avevano potuto portarsi nulla. È stata fatta una lista degli indumenti che servivano, divisi per nucleo familiare, e grazie alla disponibilità del decanto di Greco, Turro e dei Francescani di via Vallazze, siamo riusciti a soddisfare queste prime esigenze». Dopo gli abiti, si è pensato anche al cibo. «L’albergo fornisce i pasti attraverso un servizio di catering, ma grazie ai cuochi del Refettorio Ambrosiano, la mensa solidale di Greco, abbiamo potuto offrire loro dei piatti più vicini ai loro gusti, soprattutto a quelli dei bambini».
Domenica terminerà il periodo di quarantena e il gruppo sarà ricollocato in un centro di accoglienza. Da questo momento in poi inizierà un nuovo capitolo della loro vita tutto ancora da scrivere che dovrà partire dal riconoscimento dello status di rifugiati politici e passare dal lungo percorso di integrazione: l’apprendimento della lingua, la ricerca di un lavoro, sperabilmente, adeguato ai loro profili professionali.
Sarà questa la sorte, avvolta nella più totale incertezza, che toccherà a tutti gli altri profughi, o meglio, ai più fortunati tra loro, che in questi giorni così drammatici riusciranno ancora a partire da Kabul. Secondo una stima di Caritas Italiana dovrebbero essere tra le 2000 e 2500 persone, tra collaboratori del contingente italiano e i loro familiari, ammesso che la situazione in Afghanistan non precipiti e renda impossibile continuare il programma di evacuazione. Portati nel nostro Paese attraverso ponti aerei, i profughi saranno smistati su tutto il territorio nazionale e inseriti all’interno del sistema di accoglienza ministeriale, quindi nei centri Sai (ex Sprar) di competenza dei Comuni e dei centri Cas che afferiscono alle Prefetture, dopo un periodo di quarantena nei Covid Hotel.
In attesa di capire quante di queste persone saranno destinate ai centri presenti nel territorio della Diocesi di Milano, Caritas Ambrosiana ha diffuso ai responsabili della Caritas parrocchiali e decanali una comunicazione nella quale li invita a «mettersi a disposizione in modo coordinato sia per accompagnare i percorsi di inserimento nelle proprie comunità sia per le necessità contingenti» avvalendosi del Centro Logistico di Burago della Caritas Ambrosiana, in particolare per far giungere i vestiti.
Ma oltre alla gestione di questi primi arrivi a preoccupare la Caritas sono anche le diverse decine di migliaia persone che nelle prossime settimane rimarranno intrappolate in Afghanistan oppure nei paesi lungo la rotta balcanica, andando ad aggiungersi a chi in quegli stati ha cercato rifugio in questi anni ben prima che i talebani riprendessero il potere e dai quali fini ad ora non solo non è stato possibile organizzare dei corridoi umanitari, ma nemmeno dei piani di ricollocamento, per il mancato accordo tra i governi.
«Per questa ragione oltre a collaborare per offrire accoglienza e integrazione ai profughi che sono arrivati in questi giorni attraverso le vie istituzionali, continueremo a chiedere l’attivazione di forme temporanee di protezione per le migliaia di afghani già presenti in Italia e in Europa che, altrimenti, potrebbero paradossalmente essere rimandati in Afghanistan», dichiara il direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti.