Le reiterate dichiarazioni dei leader europei non bastano più

Sir Europa

Mario Monti e José-Manuel Barroso

La memoria corta non aiuta. Tanto meno in politica. Una nuova dimostrazione viene dalle cronache di queste ore, che raccontano di leader europei finalmente decisi a intraprendere la strada della “crescita”, perché «il rigore da solo non è sufficiente e non crea posti di lavoro». Dalla Merkel (Germania) a Barroso (Commissione Ue), dalla coppia Sarkozy-Hollande (Francia) a Monti (Italia), passando per Van Rompuy (Consiglio Ue), Juncker (Eurogruppo) e Draghi (Bce), si susseguono le dichiarazioni – amplificate dai media – che ribadiscono la doverosa promozione di iniziative, di breve e media gittata, per «far ripartire l’economia europea».

Ne è una riprova l’esito dell’incontro tra il capo dell’Esecutivo di Bruxelles e il premier italiano svoltosi il 27 aprile. Barroso e Monti hanno affermato all’unisono: «La nostra discussione si è focalizzata sull’attuale situazione economica in Europa e in particolare nell’area euro. Ci troviamo di fronte a delle sfide notevoli in termini di crescita e dell’alto livello di disoccupazione». Il rilancio della crescita «deve avvenire attraverso un impegno senza tregua per il miglioramento della competitività e non attraverso un ulteriore indebitamento», hanno sottolineato José Manuel Barroso e Mario Monti, che hanno già fissato un prossimo appuntamento per il 15 maggio in vista del Consiglio europeo di giugno. «Il consolidamento fiscale deve dunque procedere assieme a degli investimenti mirati per aumentare la competitività e al tempo stesso contribuire a rilanciare la domanda nel breve termine». I due politici hanno inoltre espresso la necessità di procedere a un rilancio degli investimenti e l’urgenza «di sviluppare ulteriormente il mercato unico, che è il mezzo più importante per la promozione della crescita e dell’impiego». In particolare, «ci devono essere dei progressi accelerati e più efficaci nei settori dell’economia digitale, dell’energia e dei servizi».

In tutta l’Unione si parla dunque di un grande “Patto per la crescita”, che potrebbe essere varato al summit estivo dei 27; di project bonds o di growth bonds indirizzati a sostenere gli investimenti di lungo periodo; di riforme strutturali (sulle quali insiste la cancelliera tedesca); di rafforzamento di specifiche politiche per la crescita, come il sostegno alle piccole e medie aziende, la diffusione della banda larga, la riforma del mercato del lavoro, maggiore impegno in ricerca e formazione…

E qui torna la questione della “memoria”. Perché, a ben guardare, questi stessi argomenti, queste medesime ricette, erano risuonate – e poi messe nero su bianco nonché sottoscritte dagli stessi leader – al termine dei due più recenti Consigli europei. Per esempio nel documento finale del summit del 30 gennaio leggiamo: «Dobbiamo modernizzare le nostre economie e rafforzare la nostra competitività per assicurare una crescita sostenibile. Ciò è essenziale per creare posti di lavoro e preservare i nostri modelli sociali». E poco oltre: «Crescita e occupazione riprenderanno solo se seguiamo un approccio coerente e ampio, combinando un risanamento di bilancio intelligente che preservi l’investimento nella crescita futura, politiche macroeconomiche sane e una strategia attiva per l’occupazione che preservi la coesione sociale». Seguivano sette pagine fitte di impegni da concretizzare e di settori da rivitalizzare, fra cui occupazione giovanile, mercato unico, finanziamento delle piccole e medie imprese, green economy, energia, servizi, utilizzo dei fondi per la coesione.

Non diverse risultavano le conclusioni del vertice dell’1 e 2 marzo. «Il Consiglio europeo ha discusso l’attuazione della strategia economica dell’Ue. Tale strategia mira sia a proseguire il risanamento di bilancio sia ad intraprendere azioni determinate per potenziare la crescita e l’occupazione; da una situazione caratterizzata da disavanzi e livelli eccessivi di debito non è possibile generare una crescita sostenibile e occupazione». Il Consiglio europeo «ha inoltre discusso le azioni necessarie a livello dell’Ue per portare avanti il completamento del mercato unico in tutti i suoi aspetti, sia interni sia esterni, e promuovere l’innovazione e la ricerca». E, a seguire, una moltitudine di azioni, iniziative, impegni, ancora orientati alla “crescita”, racchiusi stavolta in una decina di pagine, dove si riparla di programmi a livello nazionale, mercato unico europeo, politica energetica, sostegno alle Pmi, politiche attive per il lavoro, mercato unico digitale, economia verde, ricerca e così via.

Si potrebbe obiettare che, in una situazione di crisi tanto complessa e profonda, occorrono tempo, idee chiare e volontà politica condivisa per rimettere in moto la macchina della crescita. Ma è altrettanto vero che se, passando i mesi, si tornano a ripetere le stesse formule senza applicarle, è facile prevedere che la crescita si allontanerà ulteriormente. Anche perché i mercati e la competitività globale non viaggiano agli stessi ritmi della politica.

Adesso che il termine “crescita” è stabilmente entrato nel vocabolario di tutte le cancellerie, ci si potrà attendere che si passi dalle parole ai fatti?

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