Sandro Antoniazzi ricorda l'amico scomparso oggi: «La sua pazienza fu determinante nel delicato passaggio dalle vecchie Commissioni Interne ai nuovi Consigli dei Delegati»
di Sandro ANTONIAZZI
Redazione
Lorenzo Cantù, scomparso oggi a 83 anni, ha dedicato tutta la sua vita al servizio dei lavoratori e del mondo del lavoro.
Entrato alla Magneti Marelli, una delle grandi aziende di Sesto S.Giovanni, a 14 anni nel 1942, ha vissuto in fabbrica gli anni difficili della guerra e del dopoguerra – quando i rapporti politici erano molto tesi e i cattolici (i “paolotti”) erano spesso una minoranza -, conquistandosi la stima e la fiducia dei lavoratori per la sua disponibilità, la sua franchezza, la sua dedizione. Così nel 1954, presentatosi alle elezioni della Commissione Interna, ne diventò presidente a seguito del successo della Fim-Cisl (a Sesto, che allora era considerata una roccaforte comunista e veniva chiamata “Stalingrado d’Italia”).
Alle direzioni aziendali di allora dava fastidio che gli impiegati (Cantù lo era diventato per meriti propri, studiando alla sera disegno e elettronica) si interessassero di sindacato: e così la Magneti Marelli trovò un pretesto per deciderne il licenziamento. Ma per la prima volta tutti gli impiegati, sempre reticenti all’adesione sindacale e alla lotta, scioperarono in massa in sua difesa. Cantù non si doveva toccare perché rappresentava “moralmente” tutti e così la direzione dovette retrocedere.
Nel 1968, quando Pierre Carniti stava per trasferirsi a Roma, fu chiamato alla segreteria della Fim provinciale di Milano, organizzazione che contava allora oltre 50 mila iscritti, presente in tutte le fabbriche. Ho avuto allora l’onore di guidare con lui i metalmeccanici milanesi negli anni difficili del movimento studentesco, dell’autunno caldo, del grande cambiamento del sindacato. Anni di grande responsabilità e anni molto belli, perché vissuti con impegno, con entusiasmo e con grande e salda amicizia, che non è mai venuta meno.
Il ruolo di Cantù, solo per fare un esempio, fu molto importante a riguardo del delicato passaggio dalle vecchie strutture di fabbrica, le Commissioni Interne, ai nuovi Consigli dei Delegati, più dinamici e più espressivi della democrazia diretta. Era un passaggio tra due generazioni, tra due modi di fare il sindacato, tra due mondi: la pazienza e l’apporto di Cantù fecero sì che il passaggio fosse il migliore possibile.
Cantù ha poi avuto tanti altri incarichi, nel sindacato come nell’ambiente cattolico, ma sempre al servizio nei lavoratori, nel Mlac, nelle Acli, nella Pastorale del Lavoro. Si presentava in modo umile e questo facilitava il rapporto con lui, ma dietro la semplicità dei modi c’era preparazione, informazione, cultura e un’attenzione sempre vigile e intelligente ai problemi sociali e del lavoro.
Penso che sarebbe molto difficile contare le infinite persone – credenti e non – che si sono rivolte a lui per avere un consiglio, per trovare una persona vera con cui confrontarsi sinceramente. Cantù ha portato una profonda esperienza di fede nel sempre travagliato mondo del lavoro, nel modo più autentico possibile, cioè con la propria vita e sempre guardando avanti, affrontando i problemi anche più ostici con una visione di speranza.
Accanto alle grandi figure di laici che la Chiesa milanese ha conosciuto – penso a Giuseppe Lazzati e a Giancarlo Brasca – non dobbiamo dimenticare che ci sono state figure, più nascoste e più “di base”, che hanno dato una testimonianza altrettanto importante di vita cristiana. Io – che ho avuto la fortuna di condividere con Lorenzo cinquant’anni di amicizia e di costante collaborazione, tanto da poterlo considerare un mio fratello maggiore – non posso non ringraziare il Signore del tanto bene ricevuto attraverso di lui. Lorenzo Cantù, scomparso oggi a 83 anni, ha dedicato tutta la sua vita al servizio dei lavoratori e del mondo del lavoro.Entrato alla Magneti Marelli, una delle grandi aziende di Sesto S.Giovanni, a 14 anni nel 1942, ha vissuto in fabbrica gli anni difficili della guerra e del dopoguerra – quando i rapporti politici erano molto tesi e i cattolici (i “paolotti”) erano spesso una minoranza -, conquistandosi la stima e la fiducia dei lavoratori per la sua disponibilità, la sua franchezza, la sua dedizione. Così nel 1954, presentatosi alle elezioni della Commissione Interna, ne diventò presidente a seguito del successo della Fim-Cisl (a Sesto, che allora era considerata una roccaforte comunista e veniva chiamata “Stalingrado d’Italia”).Alle direzioni aziendali di allora dava fastidio che gli impiegati (Cantù lo era diventato per meriti propri, studiando alla sera disegno e elettronica) si interessassero di sindacato: e così la Magneti Marelli trovò un pretesto per deciderne il licenziamento. Ma per la prima volta tutti gli impiegati, sempre reticenti all’adesione sindacale e alla lotta, scioperarono in massa in sua difesa. Cantù non si doveva toccare perché rappresentava “moralmente” tutti e così la direzione dovette retrocedere.Nel 1968, quando Pierre Carniti stava per trasferirsi a Roma, fu chiamato alla segreteria della Fim provinciale di Milano, organizzazione che contava allora oltre 50 mila iscritti, presente in tutte le fabbriche. Ho avuto allora l’onore di guidare con lui i metalmeccanici milanesi negli anni difficili del movimento studentesco, dell’autunno caldo, del grande cambiamento del sindacato. Anni di grande responsabilità e anni molto belli, perché vissuti con impegno, con entusiasmo e con grande e salda amicizia, che non è mai venuta meno.Il ruolo di Cantù, solo per fare un esempio, fu molto importante a riguardo del delicato passaggio dalle vecchie strutture di fabbrica, le Commissioni Interne, ai nuovi Consigli dei Delegati, più dinamici e più espressivi della democrazia diretta. Era un passaggio tra due generazioni, tra due modi di fare il sindacato, tra due mondi: la pazienza e l’apporto di Cantù fecero sì che il passaggio fosse il migliore possibile.Cantù ha poi avuto tanti altri incarichi, nel sindacato come nell’ambiente cattolico, ma sempre al servizio nei lavoratori, nel Mlac, nelle Acli, nella Pastorale del Lavoro. Si presentava in modo umile e questo facilitava il rapporto con lui, ma dietro la semplicità dei modi c’era preparazione, informazione, cultura e un’attenzione sempre vigile e intelligente ai problemi sociali e del lavoro.Penso che sarebbe molto difficile contare le infinite persone – credenti e non – che si sono rivolte a lui per avere un consiglio, per trovare una persona vera con cui confrontarsi sinceramente. Cantù ha portato una profonda esperienza di fede nel sempre travagliato mondo del lavoro, nel modo più autentico possibile, cioè con la propria vita e sempre guardando avanti, affrontando i problemi anche più ostici con una visione di speranza.Accanto alle grandi figure di laici che la Chiesa milanese ha conosciuto – penso a Giuseppe Lazzati e a Giancarlo Brasca – non dobbiamo dimenticare che ci sono state figure, più nascoste e più “di base”, che hanno dato una testimonianza altrettanto importante di vita cristiana. Io – che ho avuto la fortuna di condividere con Lorenzo cinquant’anni di amicizia e di costante collaborazione, tanto da poterlo considerare un mio fratello maggiore – non posso non ringraziare il Signore del tanto bene ricevuto attraverso di lui.