Nel quartiere di Turro due case-laboratorio accolgono ragazze-madri, famiglie con neonati in affido, genitori che ritrovano i propri figli cresciuti in comunità. Un innovativo intervento sociale realizzato dalla cooperativa Comin, da oltre 30 anni in prima linea per aiutare bambini e famiglie in difficoltà


Redazione

Hanno come simbolo le matrioske, le tradizionali bamboline russe, in cui la più grande contiene la più piccola. La scelta ovviamente non è casuale. Perché nelle case-laboratorio della cooperativa Comin è esattamente questo, quello che succede: una famiglia ne incorpora un’altra, fino a quando quest’ultima non è in grado di badare a se stessa.
Milano, quartiere Turro, zona ad alta presenza immigrata. Via Fonseca Pimentel è una strada secondaria che quasi va a sbattere contro il cavalcavia ferroviario. In questo paesaggio tipicamente metropolitano, la cooperativa Comin, da oltre 30 anni impegnata a realizzare interventi educativi a favore dei bambini, ha ristrutturato una vecchia casa di ringhiera di proprietà della parrocchia. Ha creato un piccolo parco per i più piccoli del quartiere: altalene, scivoli, tanti giochi. E al primo piano dell’edificio ha ricavato due appartamenti speciali.
«In questi spazi possono passare parte della loro giornata, mamme e papà in difficoltà che hanno bisogno di un aiuto per recuperare il proprio ruolo o altre madri e padri che quell’aiuto vogliono offrirlo, ma hanno bisogno di essere seguiti. Ci piace pensarli come incubatori di nuove relazioni. Per questo ci è venuta in mente l’immagine della matrioska, che ha in po’ questo significato simbolico», spiega il presidente della Cooperativa Comin, Vincenzo Salvi.
Ogni appartamento è composto da una cucina-soggiorno, due stanze attrezzate per il gioco dei bambini, un bagno con fasciatoio e vasca per il bagnetto dei piccoli. Arredamento semplice, colori pastello alle pareti, atmosfera calda e accogliente. In giorni e orari diversi qui si alternano nuclei familiari fragili, famiglie con neonati in affido, ragazzi usciti dalla comunità che incontrano la famiglia di origine dalla quale erano stati separati. Tre destinatari diversi per ognuno dei quali è stato costruito un progetto specifico. Hanno come simbolo le matrioske, le tradizionali bamboline russe, in cui la più grande contiene la più piccola. La scelta ovviamente non è casuale. Perché nelle case-laboratorio della cooperativa Comin è esattamente questo, quello che succede: una famiglia ne incorpora un’altra, fino a quando quest’ultima non è in grado di badare a se stessa.Milano, quartiere Turro, zona ad alta presenza immigrata. Via Fonseca Pimentel è una strada secondaria che quasi va a sbattere contro il cavalcavia ferroviario. In questo paesaggio tipicamente metropolitano, la cooperativa Comin, da oltre 30 anni impegnata a realizzare interventi educativi a favore dei bambini, ha ristrutturato una vecchia casa di ringhiera di proprietà della parrocchia. Ha creato un piccolo parco per i più piccoli del quartiere: altalene, scivoli, tanti giochi. E al primo piano dell’edificio ha ricavato due appartamenti speciali.«In questi spazi possono passare parte della loro giornata, mamme e papà in difficoltà che hanno bisogno di un aiuto per recuperare il proprio ruolo o altre madri e padri che quell’aiuto vogliono offrirlo, ma hanno bisogno di essere seguiti. Ci piace pensarli come incubatori di nuove relazioni. Per questo ci è venuta in mente l’immagine della matrioska, che ha in po’ questo significato simbolico», spiega il presidente della Cooperativa Comin, Vincenzo Salvi.Ogni appartamento è composto da una cucina-soggiorno, due stanze attrezzate per il gioco dei bambini, un bagno con fasciatoio e vasca per il bagnetto dei piccoli. Arredamento semplice, colori pastello alle pareti, atmosfera calda e accogliente. In giorni e orari diversi qui si alternano nuclei familiari fragili, famiglie con neonati in affido, ragazzi usciti dalla comunità che incontrano la famiglia di origine dalla quale erano stati separati. Tre destinatari diversi per ognuno dei quali è stato costruito un progetto specifico. Lo specchio di Alice La mattina mamme e papà imparano a prendersi cura dei bambini più piccoli, nel pomeriggio, sempre dietro la guida di un educatore, chi ha figli più grandi, li segue nel gioco e nei compiti. «Genitori non si nasce, ma si diventa. Il processo di apprendimento avviene giorno dopo giorno, affrontando le situazioni concrete che di volta in volta si presentano. La forza di questo progetto che abbiamo chiamato “Lo specchio di Alice” sta esattamente in questa assistenza quotidiana (per quanto è possibile) e sul campo offerta in particolare a madri minorenni e a giovani coppie culturalmente ed economicamente povere o dove è presente una forte conflittualità», dice Barbara Plangeri coordinatrice dell’intervento. Un due e tre… a casa Gli stessi appartamenti inoltre sono utilizzati per favorire gli incontri tra i genitori e il neonato allontanato dal nucleo originario. Il distacco dalla famiglia naturale, deciso dal giudice in casi eccezionali per tutelare il piccolo, è sempre traumatico. A maggior ragione quando il bambino ha meno di tre anni. «Attraverso il progetto “Uno due e tre… a casa” selezioniamo e formiamo le famiglie affidatarie disponibili alla pronta accoglienza – dice l’educatrice -. Inoltre, grazie all’appartamento, garantiamo al bambino e alla sua famiglia d’origine il diritto alla visita, in accordo con le disposizioni del Tribunale per i Minorenni. Inoltre la casa diventa anche il luogo in cui le due famiglie del piccolo possono incontrarsi. Un momento delicato, ma fondamentale per il buon esito dell’intervento». Tandem Un altro passaggio cruciale, che spesso viene rimandato proprio perché non lo si vuole affrontare, avviene quando il minore, dopo essere cresciuto in comunità, ritorna dai suoi genitori naturali. Per ridurre il rischio del fallimento, il rientro in famiglia va pilotato. L’appartamento-laboratorio serve a questo scopo. La famiglia si ricongiunge in una casa a tutti gli effetti anche se non è la sua, per qualche ora al giorno, ed insieme agli educatori ritrova la propria dimensione domestica. Insomma è “la strategia della matrioska” che pare funzionare. Attualmente 12 famiglie sono coinvolte nel progetto “Lo specchio di Alice”, 40 nel progetto “Tandem” per i rientri in famiglia. E 90 nuclei familiari sono stati orientati all’accoglienza.

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