Un gruppo di oltre 100 persone gira nella metropoli per incontrare chi "lavora" sul marciapiede: solo nel 2009 ha avvicinato 314 ragazze a Milano. Partito un corso per nuovi volontari
di Filippo MAGNI
Redazione
Sono donne coraggiose e tenaci quelle che riescono a liberarsi dalla schiavitù della prostituzione. Per molte di loro il primo spiraglio di speranza si apre con l’incontro con le Unità di strada (Uds): persone che, preso a cuore il problema della tratta delle donne, si adoperano per sconfiggerlo. Venerdì 16 aprile si è tenuto il primo incontro del corso organizzato dalla Caritas Ambrosiana per la formazione di tali volontari. Andranno a rafforzare un gruppo di oltre 100 persone che la notte gira per le strade della metropoli per incontrare chi sulla strada lavora. I numeri ne raccontano l’intensa attività: solo nel 2009 le Uds della Caritas hanno avvicinato 314 ragazze a Milano.
«Il corso è articolato su tre appuntamenti – spiegano suor Claudia Biondi, Sabrina Ignazi e Valentina Pedroli, attive nel Servizio tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana -. Inizialmente affrontiamo il tema della normativa vigente e della diffusione della prostituzione a Milano. Il secondo incontro è dedicato alla rete dei servizi a disposizione delle donne di strada e infine l’ultimo alla metodologia dell’approccio con le prostitute». La peculiarità delle Unità di strada è insita nel loro nome, spiega suor Claudia: «Avviciniamo le donne sul marciapiede dove sono costrette a lavorare, non aspettiamo che siano loro a cercarci. È un rovesciamento della prospettiva: molti servizi sono già attivi anche a livello statale in difesa delle donne, ma si tratta in sostanza di uffici o sportelli. Noi compiamo il primo passo senza attendere che siano le prostitute a farlo».
Racconta Valentina Pedroli, per lungo tempo impegnata sul campo, che «la reazione delle donne è del tipo più disparato, ma generalmente positiva. Le avviciniamo in gruppi di tre: una volontaria rimane in auto, due scendono, offrono una bibita in estate o un the caldo d’inverno e lasciano un volantino che riporta i contatti che possono chiamare per ricevere aiuto». È un modo per rompere il ghiaccio e creare una relazione che poi spesso prosegue: «Bisogna considerare che le prostitute sostanzialmente si rapportano notte e giorno solo con 3 tipi di persone: i loro clienti, gli sfruttatori e, ogni tanto, le forze dell’ordine in occasione di retate o controlli».
In un quadro del genere, aggiunge Pedroli, «diventa fondamentale per le donne anche solo capire che esiste qualcuno interessato a loro come persone. Qualcuno che può aiutarle perché ha a cuore i loro problemi». Nel 2009, spiega Sabrina Ignazi, l’Unità di strada “Avenida” che fa capo a Caritas ha totalizzato 92 uscite. Circa due alla settimana, secondo una rotazione che impegna i volontari un paio di volte al mese. «Siamo entrati in contatto – precisa – con 314 donne: 198 di queste erano al primo incontro con noi. Il numero dà la misura di un ampio ricambio che porta le prostitute a spostarsi su territori anche distanti ostacolando la creazione di relazioni che è alla base dell’attività delle Uds».
Al primo approccio fanno seguito appuntamenti per approfondire il bisogno della donna e comprendere le possibili vie d’uscita dal racket che le costringe in schiavitù. I volontari di “Avenida”, spiega Ignazi, «sono preparati anche da un punto di vista normativo: la legge tutela le donne che trovano la forza di fuggire dai loro aguzzini». Il riferimento in particolare è alla legge Merlin, all’articolo 13 della legge sulla tratta degli esseri umani e all’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione che garantisce agli stranieri il permesso di soggiorno in Italia per motivi di carattere sociale o di sicurezza.
Nonostante ciò, il percorso di liberazione è irto di ostacoli. «Molte donne coraggiose e soprattutto tenaci – ricorda Valentina Pedroli – sono riuscite a ricostruire la loro vita. Per farlo devono compiere un percorso che dura anni e che a un certo punto fa perdere loro quasi tutte le relazioni che avevano. Si trovano sole in un Paese straniero. Ma se hanno la forza di resistere e portare a termine il percorso, non si fanno più intrappolare nella schiavitù dello sfruttamento». La vita delle donne di strada è intrappolata nella violenza, nell’aridità dei rapporti, nella solitudine, nella paura e nel dolore.
Per questo suor Claudia non ci sta a sentire le tante banalità e i luoghi comuni che accompagnano alcuni discorsi sulle prostitute. «Si parla di “lavoro più antico del mondo” – elenca la religiosa -, si dice che gli uomini hanno esigenze sessuali, qualcuno pensa che le donne scelgano la strada perché le fa guadagnare bene in poco tempo. Tutte stupidaggini e giustificazioni. Nessuna donna, potendo scegliere, deciderebbe di prostituirsi. Anzi vengono prelevate o comprate nel Paese d’origine e trattate come vere schiave. I 30 euro che ricevono a prestazione vengono per lo più ritirati dai protettori sotto forma di affitti, di rimborso per la spesa del viaggio dall’Africa o dall’Est Europa all’Italia o ceduti in cambio della possibilità di lavorare su un marciapiede. Il pezzo di strada, il joint, come lo chiamano loro». La verità, aggiunge, «è che i clienti credono di lavarsi la coscienza con i soldi. Pagano e dunque fanno passare in secondo piano la sofferenza che sta dietro alla prostituzione». C’è ancora tanto da fare in ambito educativo, conclude: «A partire dalle agenzie educative quali la famiglia, la scuola, gli oratori. Anche se la società sembra in caduta libera sull’argomento, è urgente insistere sulle relazioni, accendere l’attenzione sul rispetto di sé e dell’altro». Sono donne coraggiose e tenaci quelle che riescono a liberarsi dalla schiavitù della prostituzione. Per molte di loro il primo spiraglio di speranza si apre con l’incontro con le Unità di strada (Uds): persone che, preso a cuore il problema della tratta delle donne, si adoperano per sconfiggerlo. Venerdì 16 aprile si è tenuto il primo incontro del corso organizzato dalla Caritas Ambrosiana per la formazione di tali volontari. Andranno a rafforzare un gruppo di oltre 100 persone che la notte gira per le strade della metropoli per incontrare chi sulla strada lavora. I numeri ne raccontano l’intensa attività: solo nel 2009 le Uds della Caritas hanno avvicinato 314 ragazze a Milano.«Il corso è articolato su tre appuntamenti – spiegano suor Claudia Biondi, Sabrina Ignazi e Valentina Pedroli, attive nel Servizio tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana -. Inizialmente affrontiamo il tema della normativa vigente e della diffusione della prostituzione a Milano. Il secondo incontro è dedicato alla rete dei servizi a disposizione delle donne di strada e infine l’ultimo alla metodologia dell’approccio con le prostitute». La peculiarità delle Unità di strada è insita nel loro nome, spiega suor Claudia: «Avviciniamo le donne sul marciapiede dove sono costrette a lavorare, non aspettiamo che siano loro a cercarci. È un rovesciamento della prospettiva: molti servizi sono già attivi anche a livello statale in difesa delle donne, ma si tratta in sostanza di uffici o sportelli. Noi compiamo il primo passo senza attendere che siano le prostitute a farlo».Racconta Valentina Pedroli, per lungo tempo impegnata sul campo, che «la reazione delle donne è del tipo più disparato, ma generalmente positiva. Le avviciniamo in gruppi di tre: una volontaria rimane in auto, due scendono, offrono una bibita in estate o un the caldo d’inverno e lasciano un volantino che riporta i contatti che possono chiamare per ricevere aiuto». È un modo per rompere il ghiaccio e creare una relazione che poi spesso prosegue: «Bisogna considerare che le prostitute sostanzialmente si rapportano notte e giorno solo con 3 tipi di persone: i loro clienti, gli sfruttatori e, ogni tanto, le forze dell’ordine in occasione di retate o controlli».In un quadro del genere, aggiunge Pedroli, «diventa fondamentale per le donne anche solo capire che esiste qualcuno interessato a loro come persone. Qualcuno che può aiutarle perché ha a cuore i loro problemi». Nel 2009, spiega Sabrina Ignazi, l’Unità di strada “Avenida” che fa capo a Caritas ha totalizzato 92 uscite. Circa due alla settimana, secondo una rotazione che impegna i volontari un paio di volte al mese. «Siamo entrati in contatto – precisa – con 314 donne: 198 di queste erano al primo incontro con noi. Il numero dà la misura di un ampio ricambio che porta le prostitute a spostarsi su territori anche distanti ostacolando la creazione di relazioni che è alla base dell’attività delle Uds».Al primo approccio fanno seguito appuntamenti per approfondire il bisogno della donna e comprendere le possibili vie d’uscita dal racket che le costringe in schiavitù. I volontari di “Avenida”, spiega Ignazi, «sono preparati anche da un punto di vista normativo: la legge tutela le donne che trovano la forza di fuggire dai loro aguzzini». Il riferimento in particolare è alla legge Merlin, all’articolo 13 della legge sulla tratta degli esseri umani e all’articolo 18 del testo unico sull’immigrazione che garantisce agli stranieri il permesso di soggiorno in Italia per motivi di carattere sociale o di sicurezza.Nonostante ciò, il percorso di liberazione è irto di ostacoli. «Molte donne coraggiose e soprattutto tenaci – ricorda Valentina Pedroli – sono riuscite a ricostruire la loro vita. Per farlo devono compiere un percorso che dura anni e che a un certo punto fa perdere loro quasi tutte le relazioni che avevano. Si trovano sole in un Paese straniero. Ma se hanno la forza di resistere e portare a termine il percorso, non si fanno più intrappolare nella schiavitù dello sfruttamento». La vita delle donne di strada è intrappolata nella violenza, nell’aridità dei rapporti, nella solitudine, nella paura e nel dolore.Per questo suor Claudia non ci sta a sentire le tante banalità e i luoghi comuni che accompagnano alcuni discorsi sulle prostitute. «Si parla di “lavoro più antico del mondo” – elenca la religiosa -, si dice che gli uomini hanno esigenze sessuali, qualcuno pensa che le donne scelgano la strada perché le fa guadagnare bene in poco tempo. Tutte stupidaggini e giustificazioni. Nessuna donna, potendo scegliere, deciderebbe di prostituirsi. Anzi vengono prelevate o comprate nel Paese d’origine e trattate come vere schiave. I 30 euro che ricevono a prestazione vengono per lo più ritirati dai protettori sotto forma di affitti, di rimborso per la spesa del viaggio dall’Africa o dall’Est Europa all’Italia o ceduti in cambio della possibilità di lavorare su un marciapiede. Il pezzo di strada, il joint, come lo chiamano loro». La verità, aggiunge, «è che i clienti credono di lavarsi la coscienza con i soldi. Pagano e dunque fanno passare in secondo piano la sofferenza che sta dietro alla prostituzione». C’è ancora tanto da fare in ambito educativo, conclude: «A partire dalle agenzie educative quali la famiglia, la scuola, gli oratori. Anche se la società sembra in caduta libera sull’argomento, è urgente insistere sulle relazioni, accendere l’attenzione sul rispetto di sé e dell’altro». – – Il 30 per cento sono romene