Redazione

Dure le reazioni del mondo della solidarietà ambrosiana sugli ultimi sviluppi e su come la questione rom viene affrontata a Milano. «È una vicenda avvilente e le istituzioni stanno facendo una brutta figura. Rischiando anche per una manovra di bassa demagogia pre-elettorale di scatenare una rivolta al campo di via Triboniano – sottolinea don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità -. Io lo dico da subito, perché poi non mi si accusi di non aver dato il preavviso: o si getta acqua sul fuoco, o tutta la città ne pagherà le conseguenze fra qualche settimana. Non è la prima volta che mi trovo in un confronto duro. Sediamoci intorno a un tavolo, abbassiamo i toni e cerchiamo un accordo. Noi collaboriamo solo a patto che le soluzioni siano di alto profilo e pienamente condivise».
«Noi siamo pronti a rinnovare il nostro impegno, ma se davvero le istituzioni decidessero di bloccare il progetto è chiaro che questo farebbe saltare la convenzione con tutte le associazioni del terzo settore che lavorano al Piano Maroni. Sarebbe difficilissimo continuare la collaborazione». Lo sostiene don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana. «Oltre quelle 25 famiglie, tolti quelli che sono tornati in Romania o che sono stati allontanati, ce ne sono altre 125 che, dopo la chiusura dei campi, non sappiamo dove sistemare. Ma ci eravamo detti: fidiamoci delle assicurazioni del Comune, anche se preoccupati firmiamo comunque la convenzione per dare un segnale forte della nostra volontà di collaborare. Evidentemente avevamo ragione a essere preoccupati».
«Il nostro mondo non può che sostenere il principio da sempre alla base di ogni accordo: Pacta sunt servanda, i patti vanno rispettati – conclude Davanzo -. C’è una convenzione firmata da persone responsabili, sarebbe davvero grave se una delle parti dicesse: “Abbiamo scherzato, non se ne fa niente”. L’assessore ci aveva già chiesto se avevamo disponibilità di case, e abbiamo fatto il pochissimo che potevamo. Ma sono le istituzione a dover trovare le risorse».
Di fronte ad appartamenti negati, continueranno anche gli sgomberi dei campi. Secondo il vicesindaco Riccardo De Corato dal 2007 sono 343, con oltre 7 mila nomadi "allontanati". «Sgomberi che naturalmente sono sempre avvenuti senza soluzioni alternative per i senzatetto – sostiene Valerio Pedroni, responsabile dei volontari dei Padri Somaschi – hanno generato solo ulteriori disagi e spostato i problemi da un quartiere all’ altro».
Concetto affermato anche da Elisabetta Cimoli, responsabile Servizio con i rom della Comunità di S. Egidio: «In via Rubattino S. Egidio, insieme ai Padri Somaschi, ha lavorato come ponte con le persone. I rom non sono più stati un’entità astratta e altra, ma sono diventati compagni di scuola e genitori che venivano a prenderli. Quindi sono diventate persone, esseri umani con i quali esistevano rapporti. Chi li conosce ha uno sguardo diverso e si schiera per il rispetto dei diritti fondamentali. In questo modo credo che la società civile cambi. All’interno delle comunità rom rumene c’è una povertà che ci eravamo dimenticati nelle nostre città. Così, da un lato, una domanda evangelica di come rispondere ai poveri che saranno sempre accanto a noi, ma nello stesso tempo una possibilità anche civile, laica, di parlare con tanta gente, avvicinando i rom, rendendoli prossimi». Dure le reazioni del mondo della solidarietà ambrosiana sugli ultimi sviluppi e su come la questione rom viene affrontata a Milano. «È una vicenda avvilente e le istituzioni stanno facendo una brutta figura. Rischiando anche per una manovra di bassa demagogia pre-elettorale di scatenare una rivolta al campo di via Triboniano – sottolinea don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità -. Io lo dico da subito, perché poi non mi si accusi di non aver dato il preavviso: o si getta acqua sul fuoco, o tutta la città ne pagherà le conseguenze fra qualche settimana. Non è la prima volta che mi trovo in un confronto duro. Sediamoci intorno a un tavolo, abbassiamo i toni e cerchiamo un accordo. Noi collaboriamo solo a patto che le soluzioni siano di alto profilo e pienamente condivise».«Noi siamo pronti a rinnovare il nostro impegno, ma se davvero le istituzioni decidessero di bloccare il progetto è chiaro che questo farebbe saltare la convenzione con tutte le associazioni del terzo settore che lavorano al Piano Maroni. Sarebbe difficilissimo continuare la collaborazione». Lo sostiene don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana. «Oltre quelle 25 famiglie, tolti quelli che sono tornati in Romania o che sono stati allontanati, ce ne sono altre 125 che, dopo la chiusura dei campi, non sappiamo dove sistemare. Ma ci eravamo detti: fidiamoci delle assicurazioni del Comune, anche se preoccupati firmiamo comunque la convenzione per dare un segnale forte della nostra volontà di collaborare. Evidentemente avevamo ragione a essere preoccupati».«Il nostro mondo non può che sostenere il principio da sempre alla base di ogni accordo: Pacta sunt servanda, i patti vanno rispettati – conclude Davanzo -. C’è una convenzione firmata da persone responsabili, sarebbe davvero grave se una delle parti dicesse: “Abbiamo scherzato, non se ne fa niente”. L’assessore ci aveva già chiesto se avevamo disponibilità di case, e abbiamo fatto il pochissimo che potevamo. Ma sono le istituzione a dover trovare le risorse».Di fronte ad appartamenti negati, continueranno anche gli sgomberi dei campi. Secondo il vicesindaco Riccardo De Corato dal 2007 sono 343, con oltre 7 mila nomadi "allontanati". «Sgomberi che naturalmente sono sempre avvenuti senza soluzioni alternative per i senzatetto – sostiene Valerio Pedroni, responsabile dei volontari dei Padri Somaschi – hanno generato solo ulteriori disagi e spostato i problemi da un quartiere all’ altro».Concetto affermato anche da Elisabetta Cimoli, responsabile Servizio con i rom della Comunità di S. Egidio: «In via Rubattino S. Egidio, insieme ai Padri Somaschi, ha lavorato come ponte con le persone. I rom non sono più stati un’entità astratta e altra, ma sono diventati compagni di scuola e genitori che venivano a prenderli. Quindi sono diventate persone, esseri umani con i quali esistevano rapporti. Chi li conosce ha uno sguardo diverso e si schiera per il rispetto dei diritti fondamentali. In questo modo credo che la società civile cambi. All’interno delle comunità rom rumene c’è una povertà che ci eravamo dimenticati nelle nostre città. Così, da un lato, una domanda evangelica di come rispondere ai poveri che saranno sempre accanto a noi, ma nello stesso tempo una possibilità anche civile, laica, di parlare con tanta gente, avvicinando i rom, rendendoli prossimi».

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