In questa strada, fin dalla metà degli anni Settanta, ha trovato posto e lavoro la comunità islamica, anche se oggi non tutti concordano sulla presenza numericamente maggioritaria dei musulmani: lo dice Mahmuod Asfa, presidente del Consiglio direttivo della Casa della cultura islamica, che al civico 144 ha i suoi locali, anche di preghiera
di Annamaria BRACCINI
Redazione
Milano multietnica? Sì, grazie. Più che uno slogan possibile, questa è semplicemente la realtà dei fatti. Anzi, la concreta esperienza che si fa camminando sulle strade cittadine, magari in alcune più che in altre. Se la moda ha il suo quadrilatero del lusso, la multietnicità – se così si può dire – ha le sue direttrici portanti, i grandi assi metropolitani. Come via Padova, lungo la quale fin dalla metà degli anni Settanta ha trovato posto e lavoro la comunità islamica. Anche se oggi non tutti concordano sulla presenza numericamente maggioritaria dei musulmani: lo dice Mahmuod Asfa, presidente del Consiglio direttivo della Casa della cultura islamica, che proprio in via Padova 144 ha i suoi locali, anche di preghiera: «In questi ultimi anni, dopo i primi arrivi di famiglie egiziane nel 1975, che qui trovarono alloggi a buon mercato subentrando all’immigrazione meridionale, è cambiata la composizione degli abitanti della nostra zona, che oggi sono in gran parte anche sudamericani e provenienti dall’Africa nera».
A percorrerla per intero da piazzale Loreto, via Padova è un susseguirsi di vetrine e insegne che fanno fare il giro del mondo attraverso un mosaico di colori, odori, tradizioni diverse, dalle kebaberie ai parrucchieri etnici, fino ai piccoli magazzini dove si trova di tutto. «Sono molte le strade di Milano in cui si concentrano gli immigrati – continua Asfa -, ma si cita sempre via Padova, perché storicamente è stata una delle prime arterie, con viale Monza, a popolarsi di stranieri. Si è calcolato che le presenze di etnie non italiane raggiungano le 10 unità, di cui, credo, meno della metà attualmente sia riferibile al mondo arabo o comunque islamico. Tuttavia parlano sempre di noi perché siamo stati i primi ad arrivare».
E anche i primi a chiedere servizi, attività e aule per i bambini – il 25% della popolazione musulmana a Milano è in età scolare – e, ovviamente, spazi per pregare. Qui il problema si fa stringente, anche all’interno delle stesse comunità islamiche. Non se lo nasconde la Casa della cultura, che sempre in via Padova al 366 aveva acquistato regolarmente con propri fondi un terreno nella prospettiva di costruirvi, dopo aver ottenuto i permessi, un luogo di culto. «Ora in quell’area si è insediata l’associazione Waqf, con cui siamo in causa legale, che non intende renderci il terreno. Cosa ne farà non lo sappiamo…», sottolinea Asfa. Milano multietnica? Sì, grazie. Più che uno slogan possibile, questa è semplicemente la realtà dei fatti. Anzi, la concreta esperienza che si fa camminando sulle strade cittadine, magari in alcune più che in altre. Se la moda ha il suo quadrilatero del lusso, la multietnicità – se così si può dire – ha le sue direttrici portanti, i grandi assi metropolitani. Come via Padova, lungo la quale fin dalla metà degli anni Settanta ha trovato posto e lavoro la comunità islamica. Anche se oggi non tutti concordano sulla presenza numericamente maggioritaria dei musulmani: lo dice Mahmuod Asfa, presidente del Consiglio direttivo della Casa della cultura islamica, che proprio in via Padova 144 ha i suoi locali, anche di preghiera: «In questi ultimi anni, dopo i primi arrivi di famiglie egiziane nel 1975, che qui trovarono alloggi a buon mercato subentrando all’immigrazione meridionale, è cambiata la composizione degli abitanti della nostra zona, che oggi sono in gran parte anche sudamericani e provenienti dall’Africa nera».A percorrerla per intero da piazzale Loreto, via Padova è un susseguirsi di vetrine e insegne che fanno fare il giro del mondo attraverso un mosaico di colori, odori, tradizioni diverse, dalle kebaberie ai parrucchieri etnici, fino ai piccoli magazzini dove si trova di tutto. «Sono molte le strade di Milano in cui si concentrano gli immigrati – continua Asfa -, ma si cita sempre via Padova, perché storicamente è stata una delle prime arterie, con viale Monza, a popolarsi di stranieri. Si è calcolato che le presenze di etnie non italiane raggiungano le 10 unità, di cui, credo, meno della metà attualmente sia riferibile al mondo arabo o comunque islamico. Tuttavia parlano sempre di noi perché siamo stati i primi ad arrivare».E anche i primi a chiedere servizi, attività e aule per i bambini – il 25% della popolazione musulmana a Milano è in età scolare – e, ovviamente, spazi per pregare. Qui il problema si fa stringente, anche all’interno delle stesse comunità islamiche. Non se lo nasconde la Casa della cultura, che sempre in via Padova al 366 aveva acquistato regolarmente con propri fondi un terreno nella prospettiva di costruirvi, dopo aver ottenuto i permessi, un luogo di culto. «Ora in quell’area si è insediata l’associazione Waqf, con cui siamo in causa legale, che non intende renderci il terreno. Cosa ne farà non lo sappiamo…», sottolinea Asfa. Quel vecchio stabilimento Quello che invece è certo è che, arrivando intorno a quell’area a pochi metri della Tangenziale, sorge una sorta di luogo di preghiera, riconversione di un vecchio stabilimento Enel che avrebbe dovuto essere ristrutturato. Di spazio ce n’è e tanto, la sensazione è che sia abitato. Insomma, al di là delle questioni aperte e delle fin troppo pubblicizzate polemiche su una moschea in città, rimane la realtà: Milano è multiculturale e multireligiosa e via Padova ne è l’esempio. Quasi un piccolo laboratorio a cielo aperto utilissimo per delineare gli sviluppi futuri del tessuto metropolitano. Questa, almeno, è l’opinione di Asfa: «Ritengo che questa via potrebbe essere presa a modello della convivenza pacifica tra fedi e nazionalità diverse, naturalmente a patto che non si enfatizzino fatti di cronaca – il riferimento è all’omicidio del ragazzo egiziano di 19 anni avvenuto nel febbraio scorso, ndr -che sono casi isolati e che nulla hanno a che fare con un’integrazione in atto già da tempo».E allora c’è anche il sogno nel cassetto: «Le istituzioni non abbandonino questa zona, come purtroppo è avvenuto negli ultimi anni. Trasformare via Padova in un luogo di scontro sociale e razziale non conviene a nessuno; occorre invece dare ascolto e attenzione alla presenza straniera vecchia e nuova e alle sue necessità. Ognuno faccia la propria parte, anzitutto il Comune. Una città che vuole ospitare l’Expo 2015 non può essere così arretrata in tema di stranieri, soprattutto quando si parla di spazi che garantiscano la libertà religiosa e l’esercizio della fede. Milano è internazionale, se lo ricordi». Una finestra sull’Est Già: internazionale per il business, la moda, le Università, le squadre di calcio, ma anche nel meno patinato mondo delle strade di periferia. Come via Padova, che qualcuno ha ribattezzato ironicamente “via Islam” e che, invece, là dove finisce, girando a destra, ha come confine le repubbliche ex-sovietiche, perché a qualche centinaio di metri di distanza ci sono russi, ucraini, lituani, ma anche romeni, con il loro mercato domenicale. Arrivano al venerdì carichi di prodotti tipici come vodka e semi di girasole, libri in cirillico e pesce affumicato. Ripartono alla domenica con pacchi e regali che inviano ai parenti rimasti nei loro Paesi. Sono circa un centinaio i furgoncini che ogni settimana fanno la spola tra l’Est Europa e Milano. E molti di più gli stranieri che ogni week-end, da oltre cinque anni, si ritrovano nel parcheggio di fronte alla fermata della metropolitana di Cascina Gobba magari per trovare anche un lavoro.