Una trentina di reclusi proseguono la loro protesta contro i sei mesi di trattenimento. Tra loro anche chi aveva partecipato alla rivolta del 13 agosto
Redazione
Continua lo sciopero della fame degli immigrati detenuti presso il centro di identificazione e espulsione (Cie) di via Corelli a Milano. Debilitati dopo sei giorni senza cibo, il numero degli aderenti allo sciopero si è ormai ridotto a una trentina dei circa cento trattenuti.
Gli immigrati protestano contro la legge sulla sicurezza 94/2009, entrata in vigore l’8 agosto 2009, che ha innalzato da due a sei mesi il limite massimo della detenzione nei Cie degli immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno, in attesa delle operazioni di identificazione e espulsione. E se sei mesi di privazione della libertà possono sembrare tanti, tra i reclusi vi è chi sta dentro da giugno.
È il caso di Ibrahim. Un falegname marocchino, della città di Beni Millal, in Italia dal 2001. In nove anni non ha mai avuto un permesso di soggiorno, ma ha sempre lavorato, in nero, in Lombardia e in Calabria. Sì, perchè in Italia ha il fratello, quattro zii e una zia, tra Milano e Reggio Calabria. La sua storia comincia con un banale controllo dei documenti davanti a un bar, a Milano, il 27 giugno dello scorso anno. La sera stessa viene trasferito al Cie di via Corelli. Quaranta giorni dopo, l’8 agosto 2009, entra in vigore il pacchetto sicurezza. Esplodono proteste nei Cie di tutta Italia. Il 13 agosto due sezioni del centro di Milano vengono messe a fuoco. Si verificano scontri tra le forze dell’ordine e i trattenuti. Tredici persone vengono arrestate, Ibrahim è uno di loro. Il 13 ottobre, gli imputati vengono tutti condannati a pene dai sei ai nove mesi, per danneggiamenti e resistenza a pubblico ufficiale. Ibrahim resta in carcere fino al 27 febbraio 2010, quando viene rilasciato con 45 giorni di anticipo sulla fine della pena e dal carcere viene direttamente riportato al centro di espulsione di Milano, da dove oggi continua la sua protesta.
«Non è possibile – dice -. Pochi giorni fa mi hanno prorogato di altri 60 giorni il trattenimento, e poi lo faranno di altri 60. Se non mi rimpatriano, rimarrò chiuso al centro fino a giugno. Un anno senza libertà e non ho commesso nessun reato! Perchè tanta sofferenza? A questo punto era meglio se mi rimpatriavano subito…». Continua lo sciopero della fame degli immigrati detenuti presso il centro di identificazione e espulsione (Cie) di via Corelli a Milano. Debilitati dopo sei giorni senza cibo, il numero degli aderenti allo sciopero si è ormai ridotto a una trentina dei circa cento trattenuti.Gli immigrati protestano contro la legge sulla sicurezza 94/2009, entrata in vigore l’8 agosto 2009, che ha innalzato da due a sei mesi il limite massimo della detenzione nei Cie degli immigrati sprovvisti di permesso di soggiorno, in attesa delle operazioni di identificazione e espulsione. E se sei mesi di privazione della libertà possono sembrare tanti, tra i reclusi vi è chi sta dentro da giugno.È il caso di Ibrahim. Un falegname marocchino, della città di Beni Millal, in Italia dal 2001. In nove anni non ha mai avuto un permesso di soggiorno, ma ha sempre lavorato, in nero, in Lombardia e in Calabria. Sì, perchè in Italia ha il fratello, quattro zii e una zia, tra Milano e Reggio Calabria. La sua storia comincia con un banale controllo dei documenti davanti a un bar, a Milano, il 27 giugno dello scorso anno. La sera stessa viene trasferito al Cie di via Corelli. Quaranta giorni dopo, l’8 agosto 2009, entra in vigore il pacchetto sicurezza. Esplodono proteste nei Cie di tutta Italia. Il 13 agosto due sezioni del centro di Milano vengono messe a fuoco. Si verificano scontri tra le forze dell’ordine e i trattenuti. Tredici persone vengono arrestate, Ibrahim è uno di loro. Il 13 ottobre, gli imputati vengono tutti condannati a pene dai sei ai nove mesi, per danneggiamenti e resistenza a pubblico ufficiale. Ibrahim resta in carcere fino al 27 febbraio 2010, quando viene rilasciato con 45 giorni di anticipo sulla fine della pena e dal carcere viene direttamente riportato al centro di espulsione di Milano, da dove oggi continua la sua protesta.«Non è possibile – dice -. Pochi giorni fa mi hanno prorogato di altri 60 giorni il trattenimento, e poi lo faranno di altri 60. Se non mi rimpatriano, rimarrò chiuso al centro fino a giugno. Un anno senza libertà e non ho commesso nessun reato! Perchè tanta sofferenza? A questo punto era meglio se mi rimpatriavano subito…».