“Il piacere spirituale di essere popolo”. Questo il titolo del convegno, al quale è intervenuto l’Arcivescovo, promosso dalle Ausiliarie Diocesane per il loro 40°. Non un incontro celebrativo, ma una mattinata di studio per interrogarsi sul proprio carisma al servizio della Chiesa ambrosiana
di Annamaria
Braccini
La diocesanità come categoria cruciale del servizio alla Chiesa locale, come stile di vita e sinodalità; fonte di spiritualità che esprime il “sensus ecclesiae” e radice di concretezza.
Nel quarantesimo del riconoscimento giuridico del loro Istituto – ma la prima ispirazione del progetto è risalente ai tempi del Concilio e all’arcivescovo di Milano, san Giovanni Battista Montini, poi, Paolo VI -, le Ausiliarie Diocesane si ritrovano nel Convegno che si svolge presso il Centro pastorale di via Sant’Antonio con il titolo “Il piacere spirituale di essere popolo”.
Una mattinata di riflessione intensa sul carisma di consacrazione e il futuro delle Ausiliarie – 69 in Diocesi, impegnate nelle parrocchie, in campo caritativo, nel sociale, nell’educazione scolastica e, comunque, sempre accanto alle fragilità – nella quale prendono la parola l’Arcivescovo e il teologo don Gianni Colzani, cui è accanto la “Sorella Maggiore” dell’Istituto, Susanna Poggioni.
Sulla “diocesanità: forma locale di una Chiesa universale” si sofferma l’articolata comunicazione di don Colzani e sempre della diocesanità «quale appartenenza, forma storica della Chiesa locale», parla il vescovo Mario che ne declina tre aspetti. «Cosa succede quando il mistero della fede diventa storia limitata nel tempo, nello spazio? Quando la comunione diventa storia, i principi diventano volti, i fatti diventano tradizione, il tempo diventa occasione».
Quella che viene definita «la spiritualità del frammento», definisce il senso del primo punto
«La Chiesa, che è il segno del Regno di Dio, si rende accessibile come Chiesa locale, in concreto, diocesana. Quindi, l’incontro con la pienezza del Mistero si ha nel frammento. La spiritualità del frammento è la docilità allo Spirito che rende possibile trovarsi a proprio agio nella storia, non per rassegnarsi a una situazione, per censurare critiche e problematiche, ma per dimostrare l’immensa simpatia per il contesto in cui ci troviamo nel nostro frammento di storia. Questa attitudine materna della Chiesa non vuol dire una deriva del sentimentalismo, ma invita a porre, all’inizio, l’affetto piuttosto che il giudizio, l’amore e il servizio piuttosto che l’organizzazione».
Spiritualità del frammento che, poi, «spinge sempre oltre, perché custodisce la consapevolezza che il frammento è una via di ingresso al tutto e che, perciò, non si riduce alle persone con cui si è stabilita una sintonia, alla localizzazione della comunità con cui si celebra l’Eucaristia, ma avverte come determinante l’intera dimensione diocesana e l’orizzonte della Chiesa universale. É docilità allo Spirito che rende operatori pazienti e tenaci nella cura dell’appartenenza dei battezzati alla comunità diocesana, contrastandone l’individualismo e quell’inquietudine che viene dalle nostalgie spingendo alle evasioni».
«Rivolgere sguardi, osservare volti, ascoltare storie, convocare per raggiungere la comunione e rivelare la gloria di Dio che riempie la terra», è il compito e, insieme, l’obiettivo, suggerisce l’Arcivescovo. Dunque, «avere simpatia per il luogo in cui si abita, allargare gli orizzonti e facilitare un’appartenenza».
Secondo punto: i fatti che diventano tradizione, appartenendo concretamente a una Diocesi. «L’appartenenza alla Diocesi che ci ha generati, o ci ha ospitati, significa essere discepoli di una tradizione. Dobbiamo essere capaci di mantenerla viva e di gratitudine».
Basti pensare al Rito ambrosiano celebrato nella nostra Chiesa e riguardo al quale il Vescovo scandisce: «La tradizione liturgica locale deve essere elemento che nutre la spiritualità della diocesanità. Questo elemento merita particolare attenzione, perché la sensibilità liturgica mi pare oggi molto sfumata, per cui l’appartenenza rischia di diventare o qualcosa di intellettuale o di sentimentale. La liturgia non è qualcosa da fare, ma ci introduce al Mistero. Oggi spesso manca la dimensione misterica del celebrare. Occorre non ripetere gesti, ma promuovere liturgia che sia una partecipazione con una sua fecondità spirituale».
Vi è, inoltre, un ulteriore aspetto della tradizione: la storia di una comunità, «che si fa storia delle parrocchie, delle istituzioni e che dovremmo leggere come un libro da cui trarre riconoscenza, conoscenza, lettura critica di ciò che è accaduto. Per chi decide di dedicarsi alla Chiesa diocesana, questo conoscerne la storia concreta, è fondamentale».
Terzo: la comunione che è un dono e un compito. «Per chi si dedica alla Diocesi, come i preti e le Ausiliarie, la cura per la comunione, che favorisce il senso della diocesanità quale carisma specifico, può essere indicato come servizio prioritario,. I percorsi di Pastorale di insieme e i ruoli da assumere sono importanti, ma sono solo burocrazia senza una vera condivisione e un clima di fraternità, cordialità e benevolenza che fa sovrabbondare la gioia e risplendere la gloria di Dio».
È qui si inserisce che si inserisce il capitolo della responsabilità.
«La missione vissuta al femminile, in forma istituita come è per le Ausiliarie – donne consacrate -, è un compito tutto da svolgere, ma che voi potete testimoniare al meglio».
Poi, un breve dibattito nel quale ritornano i temi del frammento e, soprattutto, della diocesanità. Strumento – come osserva don Colzani – «contro una privatizzazione della fede che è tipica del nostro tempo segnato dall’individualismo e da una mancanza di senso dell’appartenenza. Noi crediamo che la fraternità sia, invece, una dimensione cruciale, perché il rapporto con le persone, con gli altri, è oggi vissuto come forza e dominio, imposizione e non come partecipazione e cammino comune. Questo rappresenta un interrogativo per le comunità cristiane e, in genere, per tutte le comunità umane».
Infine la Tavola Rotonda, moderata da Valentina Soncini, in cui vengono presentate, dopo l’intervento introduttivo di don Francesco Scanziani, prete diocesano e teologo, alcune esperienze. Quelle di Carla Consonni dell’Ordo Virginum, di Silvia Negri, laica di Azione cattolica e dell’ausiliaria Barbara Olivato.