Nel quarantesimo anniversario dalla nascita dell’Istituto, un convegno con l’Arcivescovo presso il Centro pastorale di Milano
di Roberta
CASOLI
Ausiliarie diocesane
Quando abbiamo iniziato a interrogarci sul contenuto di un convegno in occasione del nostro 40°, ci siamo domandate quale potesse essere il contributo da offrire alla nostra Chiesa, quale racconto avremmo potuto intrecciare con autorevolezza e quali altre storie altrettanto ricche avremmo potuto raccogliere per continuare con slancio a camminare insieme. La domanda ci ha indirizzato quasi istantaneamente alla spiritualità diocesana, tema abbondantemente praticato fino a qualche decennio fa e di cui è tornato a parlare papa Francesco.
Ci è piaciuto intitolare il convegno – in programma sabato 19 ottobre, dalle 9.30 alle 12.30, al Centro pastorale di Milano (via Sant’Antonio 5) – proprio con alcune parole del Pontefice, che al numero 268 di Evangelii Gaudium raccomanda «il piacere spirituale di essere popolo». Riconosciamo, infatti, che il punto incandescente della nostra vocazione è proprio quella gioia che nasce dal sentirsi parte del popolo di Dio radicato in un luogo, generate da una Chiesa locale e inviate a rimanere vicine alla vita della gente. La missione di chi condivide una spiritualità diocesana è «una passione per Gesù ma, al tempo stesso è una passione per il suo popolo» (EG, 268), che ha un volto preciso e che si gioca in una ordinarietà che è per tutti, ma che qualcuno è chiamato a custodire come punto sorgivo della propria identità. Vivere la fedeltà alla Chiesa in un luogo è assumere la tensione insopprimibile tra la fedeltà alla storia di Cristo e la fedeltà alla nostra storia, è l’assumere «la missione di unire i cuori che si amano: quello del Signore e quello del suo popolo» (EG, 143), collocandosi in una cultura e in una storia ben precisa e inserendosi in un preciso cammino ecclesiale diocesano, assumendone la progettualità e abitandone la trama di relazioni.
La diocesanità è forse la via più ordinaria di un cammino spirituale perché non si è chiamati a separarsi dai fratelli e dalle sorelle, piuttosto a sostenerne il cammino vivendolo. Questa dedizione a Dio nella concretezza della vita diocesana, può rappresentare il vertice di un cammino spirituale.
Individuato il tema, la scelta del relatore è stata quasi scontata: don Gianni Colzani, nostro assistente dal 1996 al 2002, insegnante di ecclesiologia e missiologia, ci è sembrato un maestro competente e insieme un compagno di viaggio affidabile e solido. Quando l’abbiamo incontrato abbiamo potuto gustare una grande lucidità di pensiero e insieme una curiosità affettuosa e discreta nel sapere i passi compiuti negli anni.
Anche l’arcivescovo Mario Delpini, primo e autorevole interprete della diocesanità, prenderà la parola per aiutarci ad approfondire cosa voglia dire vivere la propria missione a servizio della Chiesa locale.
Ciò che forse ci ha messo più in difficoltà è stata, invece, la scelta dei partecipanti alla tavola rotonda: siamo consapevoli, infatti, che in tanti, potremmo addirittura dire tutto il popolo santo di Dio, è chiamato in un certo qual modo a condividere una spiritualità diocesana. Alla tavola rotonda avremmo voluto invitare uomini e donne, sposi e consacrati, diaconi e preti e magari anche un vescovo, ma il tempo ci ha fatto stringere e potremo ascoltare i racconti solo di don Francesco Scanziani (prete diocesano), Silvia Negri (consulente ambientale e responsabile decanale di Ac), Carla Consonni (Ordo Virginum) e Barbara Olivato (Ausiliaria diocesana). Ci è sembrato che moderatrice autorevole di questo tavolo potesse essere Valentina Soncini, segretaria del Consiglio pastorale diocesano ed ex presidente dell’Ac, docente di teologia fondamentale al Pime e da poco dirigente scolastica.
Infine ci resta da definire chi siano gli invitati a questa conversazione intorno al tema della diocesanità. Immaginiamo possano essere tutti gli uomini e le donne di Chiesa che, per dirla con de Lubac, sono «coloro che non si accontentano di essere in ogni cosa leali e sottomessi, non si limitano ad adempiere tutto ciò che richiede la loro professione di cattolici. Essi amano la bellezza della Casa di Dio. La Chiesa ha rapito il loro cuore. È la loro patria spirituale. Essa è sua madre e i suoi fratelli. Nulla di ciò che la tocca li lascia indifferenti o insensibili. Si radicano in essa, si formano a sua immagine, s’inseriscono nella sua esperienza, si sentono ricchi delle sue ricchezze». Crediamo che mai come oggi la nostra Chiesa abbia l’urgenza di essere amata e pensata così, per questo aspettiamo uomini e donne di Chiesa per continuare a credere e amare così.