Nella XXIV Giornata Mondiale della Vita consacrata, l’Arcivescovo ha presieduto in Duomo la tradizionale Celebrazione eucaristica. «La storia della Chiesa ambrosiana deve molto a tante persone consacrate che, con la loro operosità, santità e carità, hanno lasciato una traccia profonda»
di Annamaria
Braccini
«Stabilire una relazione personale con Gesù, essere un cantico per vivere come persone che hanno ragioni per cantare e un annuncio da offrire».
È questa l’indicazione di cammino che l’Arcivescovo lascia ai consacrati e alle consacrate riuniti in Duomo per la Celebrazione dedicata, appunto, a loro
La lunga processione di una trentina concelebranti e delle consacrate, che muove dall’altare della “Madonna dell’Albero” con la l’icona della “Madonna dell’Idea” – icona risalente, con ogni probabilità, al 1418 -, i Dodici Kyrie che risuonano in Cattedrale, rendono ancora più solenne la XXIV Giornata Mondiale della Vita consacrata, che ricorre nella Festa liturgica della Presentazione del Signore al Tempio, la “Candelora” della devozione popolare.
«Celebrazione di tutto il popolo di Dio che ringrazia il Signore per il dono di questa vocazione che ha il compito di richiamare alla bellezza della vocazione cristiana», come dice, nel suo saluto iniziale, il vescovo monsignor Paolo Martinelli, vicario episcopale per la Vita consacrata maschile e le forme di nuova Consacrazione. Accanto a lui, in altare maggiore, il vescovo monsignor Luigi Stucchi, vicario per la Vita consacrata femminile e il vescovo monsignor Francesco Brugnaro. Concelebrano oltre 70 sacerdoti, tra cui alcuni vicari di Zona e di Settore, Canonici del Capitolo metropolitano, religiosi appartenenti a diversi Istituti di Vita consacrata. Moltissime le religiose presenti, a cui si uniscono spiritualmente le claustrali che offrono una candela da loro preparata in segno di comunione.
«Grazie da parte di tutte le persone consacrate e degli Organismi di comunione USMI, CISM e CIIS», aggiunge monsignor Martinelli, rivolgendosi all’Arcivescovo.
«La Vita consacrata esprime profonda gratitudine per le parole che le ha riservato nella sua Lettera Pastorale, descrivendo questa forma di vita come risposta alla vocazione ad essere testimoni, nel tempo, del Regno che viene: dono inestimabile per la nostra Diocesi. Le persone consacrate desiderano essere sempre più fermento, secondo lo Spirito, nelle pieghe della vita diocesana, in particolare per i giovani, le famiglie e i più bisognosi. La presenza crescente di persone consacrate provenienti da altre Nazioni e culture, fa di questa forma di vita della Chiesa dalle genti un laboratorio di profezia».
L’omelia dell’Arcivescovo
Dalla pagina del Vangelo di Luca, con la narrazione della presentazione al tempio, si avvia la riflessione del vescovo Mario.
«Tempio che è, si potrebbe dire, il luogo del tempo immobile, della ripetizione dei riti antichi», e che può essere, quindi, «guardato come un anacronismo, un museo, un monumento da visitare».
Il rischio è che «qualche cosa di simile possa succedere nelle nostre chiese e comunità, nei nostri Istituti di Vita consacrata: imprese meravigliose da ricordare, antiche glorie da celebrare, e, in conclusione, presenze anacronistiche da visitare come si visita un repertorio di cose d’altri tempi».
Al contrario, «nel tempio è convocata la nostra storia personale, le speranze che il passare dei giorni ha forse stancato, le energie logorate. Ciascuno vi viene con le sue attese e le sue frustrazioni, con il suo slancio e le sue stanchezze».
Come il vecchio Simeone e la 84enne Anna, con le loro speranze esaudite, mentre oggi «quasi non si spera più e sembra, talora, che si viva senza aspettare niente persino nelle comunità cristiane, persino dentro le comunità di Vita consacrata».
Eppure, «l’evento è proprio per l’oggi, proprio in questa situazione che è spesso interpretata come un declino inarrestabile e di desolazione irrimediabile. Proprio per questo tempo, in questi giorni qualsiasi in cui la banalità diventa un evento, e non c’è né attesa né traccia di redenzione né di consolazione».
Laddove, infatti, «la Vita consacrata si interroga sul tempo che viviamo, sui segnali di stanchezza e di declino – di cui parlano i numeri, per chi li ritiene significativi -, sulla percezione che si tratti di una vita improbabile e non desiderabile, il Vangelo appena proclamato è un invito a conversione per tutti, specie per chi ha scelto la Vita consacrata: è un invito all’esultanza, è l’occasione per mettersi a cantare le lodi di Dio».
E questo perché si compie la rivelazione proprio nel tempio, in quell’edificio che sembrava legato ai tempi andati».
Da qui i tre punti-cardine richiamati dall’Arcivescovo.
«In primo luogo, la docilità allo Spirito che significa imparare ad ascoltare le Scritture piuttosto che le statistiche, valutare piccolezza e grandezza secondo i criteri evangelici piuttosto che secondo la risonanza mediatica, essere umili e lieti piuttosto che amareggiati e presuntuosi. Mosso dallo Spirito, così deve essere ogni uomo e donna che vuole incontrare la salvezza e la luce».
In secondo luogo, come Simeone, occorre prendere tra le braccia il Bambino e benedire Dio. «L’incontro con Gesù non è un discorso, un pensiero, un sentimento, una decisione. È l’incontro con il Verbo fatto carne, è un abbraccio, un peso, un ingombro, una forma di tenerezza e di commozione e dice qualcosa di come deve essere la nostra preghiera», da non vivere come un adempimento ripetitivo o la conservazione di una storia passata. «Se la nostra preghiera diventa un incontro personale, il nostro cammino spirituale diventa un percorso insieme e orientato a Gesù».
In terzo luogo, il cantico. «L’intenzione universale della salvezza è scritta nella presenza del Bambino. La Vita consacrata è vocazione. Essere presenti nella storia come un cantico dice che il Signore ha compito le sue promesse e che c’è una luce che illumina tutte le genti».
A conclusione, ancora un ringraziamento e l’ammirazione del Vescovo «per quello che fanno le persone di Vita consacrata e per quello che sono. La storia della Chiesa ambrosiana deve molto a tante persone che, con la loro operosità, santità e carità, hanno lasciato una traccia profonda, contribuendo a definire la fisionomia di questa Chiesa così intraprendente e attenta ai bisogni dei più poveri di ogni tempo. Siate benedizione per chi vi incontra».