“Nipoti, genitori e nonni: relazioni su cui si gioca il futuro”: questo il titolo della ricerca promossa dal Servizio per la Famiglia e del Convegno diocesano di Pastorale Familiare nel corso del quale sono stati presentati i risultati dell’indagine. Interventi dell’Arcivescovo e del cardinale Scola

di Annamaria BRACCINI

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Una grande opportunità che fa sentire realizzati i nonni, aiuta i genitori, rende felici i nipoti.
Tra molte luci, e qualche invitabile ombra, è questa la fotografia che emerge dall’indagine promossa dal Servizio per la Famiglia della Diocesi. Una ricerca basata su un articolato questionario on line a cui ha risposto una platea di 851 famiglie, raggiunte, nei mesi scorsi, attraverso un “passaparola” informale. 530 i nonni che hanno partecipato, perché primariamente a loro si è rivolto il sondaggio, “Nipoti, genitori e nonni: relazioni su cui si gioca il futuro”, curato dal collaboratore del Servizio e già docente universitario di matematica, Marco Astuti e realizzato (con un successo superiore alle attese) in vista del Convegno diocesano di Pastorale Familiare nel corso del quale, presso il Salone Pio XII di via Sant’Antonio, sono intervenuti l’Arcivescovo e il cardinale Angelo Scola.
Aperto dal vicario episcopale di Settore, don Mario Antonelli, e concluso dai responsabili del Servizio, i coniugi Maria e Paolo Zambon e don Massimiliano Sabbadini, il Convegno si è sviluppato, anche attraverso relazioni di esperti e testimonianze, in una data importante – il 2 ottobre – nella quale, dal 2015, lo Stato ha fissato la festa nazionale dei Nonni.

I dati della ricerca
Insomma, una ricerca significativa (e nuova per la Chiesa ambrosiana) alla quale hanno collaborato in tanti – l’Associazione “Nonni 2.0”, il Movimento “Terza Età”, l’Associazione “AdultiPiù” di Azione Cattolica ambrosiana, il Movimento “Famiglie Nuove” dei Focolari e il Movimento “Rinnovamento nello Spirito Santo” – e i cui esiti, emersi dall’analisi disgiunta dei dati relativi alle singole domande e risposte, sono andati molto al di là di frequenti banalizzazioni. Come quella del ruolo dei nonni quali “baby sitter a costo zero” toccando, invece, il rapporto intergenerazionale e la questione fondamentale della trasmissione della fede, alla quale il 60% degli intervistati dichiara di collaborare, anche se con qualche discrepanza nella percezione del proprio contributo in questo ambito. Infatti, mentre il 12,62% dei nonni sostiene di svolgere questo ruolo nei confronti delle nuove generazioni perché i genitori non se ne fanno carico, mentre solo l’1,08% di questi ammette di aver demandato ai propri genitori tale compito. Una “lettura” che, pur nel dato generale di buona attenzione al problema, denuncia una certa difficoltà a comprendere le dinamiche interne anche al proprio nucleo familiare. Così come è accaduto in modo marcato rispetto alla «domanda più delicata», come l’ha definita Astuti, ossia quali siano le critiche dei figli/e relativamente al rapporto nonni/nipoti. Basti pensare che solo per l’8,2% dei nonni l’ingerenza nel rapporto educativo è fonte di critica, mentre per i figli si sale al 23,45%. Inoltre, in riferimento al modello educativo dei nipoti, il 10,42% dei nonni lo vede come fonte di contrasto, mentre la percentuale raddoppia se si considerano i genitori.
Interessante anche la differenza, più volte sottolineata, tra nonni materni e paterni per cui, all’interno di un 70% complessivo che si dichiara soddisfatto della bontà della relazione nonni/nipoti, la qualità è «costante e significativa» per il 66,21% dei materni e solo per il 35,56 dei paterni.
Aspetti che richiamano «il tema fondamentale della reciprocità che andrebbe indagato e fatto maturare nella relazione intergenerazionale», per don Antonelli. «Avverto – ha proseguito – che anche nella nostra Chiesa ambrosiana la condizione per cui i giovani hanno delle visioni è che gli anziani facciano sogni. In questo registro di reciprocità, laddove gli anziani non fanno sogni e si fermano ai rimpianti, i giovani non avranno visioni, ma matureranno chimere».

Gli interventi dell’Arcivescovo e del cardinale Scola
«Organizzare un convegno come questo mi sembra un buon segno», osserva subito il vescovo Mario che approfondisce il tema delle parole solitarie e di quelle di relazione.
«Esistono parole solitarie, che non hanno bisogno di altre: i pronomi come “io” che ha pervaso la nostra mentalità perché la cultura moderna ha ritenuto che si dovesse affermare l’io per sottrarlo ai condizionamenti del potere e della società. E così sono solitari altri pronomi come “loro”, “voi”, quando, con queste parole, si vuole marcare una lontananza o addirittura una contrapposizione, quasi si parli tra avversari, mentre il Papa dice sempre “noi”. Le parole solitarie sono nella condizione di rivendicare il capriccio, l’autoreferenzialità, la libertà come arbitrio. Ma questa libertà fa sentire soli».
E, ancora, «le parole solitarie non sono una conquista della civiltà, ma il simbolo di una malattia e, forse, bisogna riconoscere con franchezza che questa città è malata. L’esperienza del lockdown, che ha impedito la libera circolazione, ha drammatizzato tutto questo: chi è solo sperimenta il deserto, non la libertà. Questa malattia è una pandemia che insidia la nostra società e il suo futuro. La nostra società rischia di essere malata di disperazione e di rassegnazione, morendo in solitudine».
Ma ci sono, poi, le parole di relazione – nonni, nipoti, figli, moglie, marito – che non sono ineccepibili, ma indicano l’amore che, a sua volta, è una parola da approfondire».
Esistono, infatti, «un amore di desiderio, erotico che, pur essendo un aspetto importante, si presta alla strumentalizzazione» e «un amore di benevolenza – dono gratuito, agape – che somiglia all’amore di Dio. Un amarsi gli uni gli altri che possiamo identificare con la parola amicizia nella sua forma nobile. Amore che rende capaci di amare e rende migliori, come si vede nella relazione tra i nonni e i nipoti».
È qui che si inserisce l’idea dell’amore educativo e dell’amicizia, «che non è complicità»
«È un amore buono che fa vivere le relazioni e rende ciascuno migliore perché, mentre si ama, si impara ad amare. Le parole di relazione sono la condizione per sperare che il futuro che non sarà frutto di una competenza sanitaria, ma si genererà se costituiremo la reciprocità».
Come a dire, in una società che non fa figli – definita da molti sociologi post-familiare per la frammentazione e la diversificazione dei legami – la storia e la vita non vanno avanti. Anche perché, come suggerisce il cardinale Scola collegato da remoto, spesso i giovani oggi non apprendono le loro radici e la tradizione. «Consiglio – spiega l’Arcivescovo emerito – di andare a rileggere il testo di san Giovanni Paolo II, “La genealogia della persona del figlio”. I nonni sono coloro che possono garantire la consapevolezza che il figlio, attraverso i genitori, è inserito in una trama di relazioni, offrendo ai nipoti una prospettiva più ampia e profonda della loro storia personale. Ci sono nella vita di tutti noi, aspetti di gioia e di dolore, e i bimbi sono molto attenti a coglierli nella storia dei nonni, capendo, talvolta meglio, gli aspetti ombrosi, tra cui la morte. Questo è un primo elemento educativo di grande valore e occorre investire su questa funzione. La vita non cammina se non c’è un perché, ma soprattutto, un per Chi viviamo».

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