Nella Festa dei Fiori dedicata ai futuri presbiteri e ai sacerdoti e vescovi che ricordano significativi anniversari di ordinazione, la riflessione di monsignor Martinelli, la Messa presieduta dal cardinale Scola e concelebrata dai cardinali Tettamanzi e Ravasi, che ha tenuto l'omelia
di Annamaria BRACCINI
Una “festa di famiglia” in cui ci si ritrova, si ricorda, si guarda al futuro, interrogandosi sul ruolo che ciascuno ha e deve avere nella società e nel presente. È la Festa dei Fiori 2016 nella splendida cornice del Seminario arcivescovile di Venegono che, nella gioia per la presentazione ufficiale dei 26 candidati al sacerdozio che diventeranno preti l’11 giugno, quest’anno si fa ancora più importante in coincidenza con alcuni anniversari dei quali si fa memoria specifica. Anzitutto il XXV di episcopato del cardinale Angelo Scola e il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale del cardinale Gianfranco Ravasi, prete ambrosiano e presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Sono tre i porporati presenti: con l’Arcivescovo e il cardinale Ravasi c’è anche il cardinale Dionigi Tettamanzi. Accanto a loro, quattordici Vescovi, ausiliari e nativi della Diocesi, tra cui alcuni festeggiati, tutti i Vicari episcopali e circa 400 sacerdoti.
La benedizione di un bel Crocifisso e di una Pietà realizzati in bronzo dalla scultrice svizzera Poncé, provenienti dalla Cappella arcivescovile di Venezia e donati dal Cardinale al Seminario, apre la mattinata: tutto è trasmesso dai seminaristi (molto tecnologici) sul canale YouTube collegato alla pagina Facebook del Seminario.
Nell’Aula intitolata a Paolo VI – in cui vengono poste le opere -, prende la parola per la riflessione iniziale monsignor Paolo Martinelli, vescovo ausiliare e vicario per la Vita consacrata maschile (quest’anno per la prima volta sono invitati anche i presbiteri religiosi). Parla della “Missione del prete oggi”: «Un tema appassionante soprattutto per il profilo del sacerdote ambrosiano. Infatti, la storia della nostra Chiesa ci narra di un’intensa vita spirituale e di studio rigoroso che si documenta nell’inserzione dei seminaristi in luoghi di missione e di sofferenza». Così come lo stesso Martinelli ha potuto vedere personalmente presso l’Istituto Sacra Famiglia, dove era impegnato come giovane sacerdote cappuccino: «La buona fama del clero ambrosiano si gioca nell’intreccio tra missione e oggi. Non si tratta di pensare, in modo astorico, l’idea del presbitero in una concezione astratta da applicare meccanicamente, ma nemmeno di vederla come “liquida”. Non si può pensare, infatti, al sacerdote come a un dispositivo, uno smartphone a cui applicare delle app, ma come persona che si qualifica nella missione: come un mandato, un inviato per il preciso compito dell’edificazione del Regno. La novità del ministero ordinato cristiano trae la sua origine dalla novità di Cristo, quale missione stessa del Padre. La missione al cuore del popolo non è un’appendice o un momento tra gli altri, “ma qualcosa che non si può sradicare dal mio essere prete se non voglio autodistruggermi”, scrive infatti papa Francesco in Evangelii Gaudium. Il prete non può che comprendersi nel legame inscindibile tra Colui che manda e coloro a cui si è mandati». In questo senso, la missione del presbitero non può che assumerne tutte le circostanze e ciò comporta il confronto, la valorizzazione quotidiana di ciò che edifica il bene di tutti: «Dio si comunica attraverso la realtà umana, per questo ha bisogno degli uomini (il richiamo è al volume del Cardinale dal medesimo titolo e dedicato alla vocazione, ndr) e, dunque, il prete oggi ha il compito di testimoniare come l’incontro con Cristo realizzi l’umano, formando i fedeli all’Evangelo. Così, il sacerdote deve avere a cuore lo sguardo tenero di Cristo sull’umano, che sa ritrovare il bene in ogni persona. La vita come vocazione non è una premessa da lasciarsi magari alle spalle, ma è la struttura stessa della vita. Non è la disponibilità a generare la missione, ma la chiamata personale, ma non individuale, che chiede sempre appartenenza affettiva ed effettiva al presbiterio, in una reciproca inclusione, capace di valorizzare i diversi carismi della Chiesa». Come prioritariamente avviene nell’attenzione specifica alla famiglia crocevia dell’umano, in cui si gioca il ruolo cruciale del laicato. «Quando il presbitero vive la propria missione come dedizione al popolo di Dio può sperimentare la gioia profonda di una vita data e, per questo, piena e compiuta: un segno luminoso per tutta la nostra Chiesa e un invito incoraggiante per i novelli presbiteri».
Poi la celebrazione in Basilica, presieduta dall’Arcivescovo. «La Festa dei Fiori di quest’anno è rivestita di particolare gioia per i venticinque anni di ordinazione episcopale del cardinale Scola, avvenuta il 21 settembre 1991 – dice nel saluto in iniziale il rettore monsignor Michele Di Tolve -. Siamo sempre più consapevoli che stiamo attraversando un cambiamento d’epoca, per questo vogliamo essere uniti nello spirito del Signore. In questa società plurale c’è spazio per i preti? Il nostro popolo ci dimostra che gli uomini hanno bisogno di Dio».
«Sono emozionato in questa basilica, dove non tornavo da molti anni e nella quale sono salite le nostre preghiere e invocazioni di giovani seminaristi e sacerdoti – dice a sua volta il cardinale Ravasi, in avvio di omelia -. Mi piace pensare, con uno sguardo semplice di amicizia all’immagine di una nube luminosa fatta di gocce di acqua attraversate dalla luce di tanti testimoni». Il riferimento è alla Parola di Dio presentata attraverso un dittico con due tavole antitetiche, «una tenebrosa, notturna, tratta dal Cantico dei Cantici, nella ricerca dell’amato da parte dell’amata» e, l’altra, di luce, «come ci spiega il Vangelo di Giovanni appena cantato».
«La prima ci indica che cosa significhi il silenzio di Dio: un’esperienza che definisce la spiritualità umana – tutte le iridescenze oscure sono presenti, infatti, nella Passione di Gesù che si è fatto uomo -; un’esperienza che tutti abbiamo fatto. Ecco perché in questo momento dobbiamo ricordare, come dice il Curato di campagna di Bernanos, che “Tutto è grazia”. Non si crede una volta per sempre, ma ininterrottamente si deve costruire e ricostruire la fede: ricordiamo l’oscurità della Lettera di Paolo ai Filippesi – i nemici della croce -, pensando al martirio striato di sangue in tanti Paesi del mondo e alla temperie dell’indifferenza, dell’amoralità, del godimento immediato, della superficialità. In questa notte del male, riascoltare le parole di San Giovanni Paolo II – «Non temere» – è fondamentale: non a caso ricorrono nella Bibbia 365 volte come i giorni dell’anno, come un buongiorno».
E, infine, la seconda tavola del dittico, quella luminosa suggerita da Giovanni al capitolo 15, scandita dalla luce dell’amore «come è la vostra testimonianza di preti, specie se inseriti nell’impegno pastorale. Questo amore, soprattutto oggi, in questo flusso di persone che vengono da così lontano e con cui dobbiamo creare una società interculturale, non solo multiculturale come ci ricorda spesso il cardinale Scola, deve essere la nostra insegna, perché “la gioia non la si ha, vi si è immersi”. Questo è il mio augurio», conclude Ravasi.
«Il mio ringraziamento – sottolinea, invece, il cardinale Scola, a conclusione dell’Eucaristia – è per tutti voi, per aver ricordato il mio XXV di ordinazione episcopale, ma agli alunni del Seminario, ai cosiddetti “fiori”, che ho avuto modo di conoscere bene di persona, voglio ricordare le parole del Decreto conciliare Optam totius». Cita, l’Arcivescovo, il punto 9, centrato appunto sull’educazione allo spirito ecclesiale. Spirito di umiltà, di obbedienza e di servizio. Da qui, due spunti: «Lo stile che deve permeare la vita del cristiano e che sgorga dall’atteggiamento di confessione, quella disposizione abituale a manifestarsi per quello che si è e non tenendo niente per sé. E, inoltre, la speranza che la pace di Cristo regni nei vostri cuori e siate pieni di gratitudine, una parola molto adeguata a questa bella festa tradizionale. Nel frangente di travaglio che stiamo vivendo si fa sempre più chiaro che la pace non è in proporzione all’assenza di dolore e di contraddizione, ma è proporzionale al sì quotidianamente ri-espresso alla vocazione e alla missione. Crescete nella consapevolezza che si può esercitare un ministero così delicato come quello ordinato, solo se, prima di assumerlo, si è già deciso nel nostro cuore che la vita è data al Signore nel nostro fratello uomo. Bisogna avere già offerto la nostra esistenza prima di avere intrapreso questo cammino: qui sta la pace, nonostante tutte le prove, le circostanze facili o difficili». Questo l’augurio del Cardinale per i “fiori” 2016, che nel Quadriportico in festa, tra musica e allegria, si presentano uscendo simbolicamente da una grande colomba – vengono liberate nel cielo anche vere colombe -, quale segno del loro motto: «Con la gioia dello Spirito Santo».