La responsabile Area bisogno di Caritas Ambrosiana: «Dopo gli sgomberi i Centri per la prima accoglienza sono insufficienti e inadeguati»

di Luisa BOVE

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Quando si avvicina l’estate o durante i periodi di vacanza, la situazione dei campi nomadi è abbastanza tranquilla. L’ultimo grande sgombero di pochi giorni fa è stato quello in zona Bovisa, poi la gente si disperde in altri insediamenti. C’è chi si inserisce in piccoli campi, chi si sistema sotto un ponte, in auto o in camper, oppure in tenda o nelle baracchine su aree dismesse o zone agricole.

«Dal nostro osservatorio, possiamo dire che oggi i piccoli insediamenti sono di 15-20 persone, corrispondenti a 3 o 4 nuclei familiari – spiega suor Claudia Biondi, responsabile Area bisogno di Caritas Ambrosiana -. Non riusciamo a monitorarli tutti, ma in questo momento a Milano possiamo dire che ci sono circa 500 persone». Poi ci sono grandi campi tollerati, come quello regolare di via Bonfadini, con accanto uno abusivo. Senza contare quelli nelle zone limitrofe, a San Donato, Cinisello, Sesto San Giovanni, Bollate… Quando c’è uno sgombero la gente si riversa temporaneamente in città, poi torna nei Comuni più piccoli, che conosce meglio. «Sono quasi tutti rumeni che vivono un pendolarismo programmato: quando i milanesi sono meno presenti in città, anche loro tornano a casa – dice suor Claudia -. Vengono in Italia per guadagnare qualcosa attraverso il lavoro nero e l’elemosina, mandano i soldi in Romania per costruirsi la casa e poi rientrano nel loro Paese. In fondo hanno un progetto, non vivono alla “spera in Dio”».

Diversa è la situazione dei bosniaci, presenti da anni sul nostro territorio: vivono nei camper, in appezzamenti acquistati o su terreni agricoli, ma campano di espedienti. «Quello che resta il grande punto interrogativo per Caritas Ambrosiana è la prima accoglienza dopo gli sgomberi – chiarisce la religiosa -. Il Centro emergenza sociale di via Sacile fa acqua, non perché gestito male, ma perché strutturalmente inadeguato e insufficiente. Noi l’abbiamo sempre detto: se si accolgono persone con disagio, bisogna offrire loro piena dignità. Qui invece è parziale. Il Centro è realizzato con container: finché le persone attendono di andare altrove, va bene; se invece la collocazione diventa definitiva, allora non è dignitoso». «È vero che in questo momento i Rom non sono l’emergenza, anzi, non lo sono mai stati -, ammette suor Biondi -, ma ciò non significa che dobbiamo trattarli senza dignità».

Un rischio emergenza, però, c’è. «Se Roma decide di chiudere i campi, questo potrà avvenire anche a Milano. Noi siamo d’accordo sulla chiusura dei campi, il loro superamento è anche il nostro obiettivo: però va fatto con criteri, tempi certi e soluzioni che rispettino la dignità delle persone. Questo è ciò che Caritas ha sempre detto e continuerà a dire».

 

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