Presiedendo la Celebrazione dei Vesperi primi nella Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, l’Arcivescovo ha compiuto il “Rito della Nivola” portando sull’altare maggiore del Duomo la preziosa reliquia del Santo Chiodo che rimarrà esposta alla devozione dei fedeli fino a lunedì pomeriggio

di Annamaria BRACCINI

Nivola

«Dio regna dal legno squallido della croce e ne trasforma il significato. La croce diventa gloriosa perché il Dio fatto uomo la rende tale». Nei primi Vespri della festa Liturgica della Santa Croce, è il cardinale Scola, a definire il senso profondamente cristiano e umano del gesto di devozione, particolarmente sentito dagli ambrosiani, con cui si contempla, appunto la croce. Quella che, posta sull’altare maggiore del Duomo, contiene, per l’occasione, il Santo Chiodo, reliquia della Passione che la tradizione vuole già venerata ai tempi di sant’Ambrogio e che veglia, da secoli, all’interno della Cattedrale, essendo normalmente conservata alla sommità delle volte del presbiterio.

E, allora, come ogni anno, l’Arcivescovo, sulla Nivola, sale fino a quarantadue metri di altezza e ridiscende portando il Santo Chiodo che, sull’altare, rimarrà esposto alla venerazione dei fedeli fino alla Celebrazione eucaristica di lunedì prossimo.

Si ripete così, ai tempi di san Carlo, il Rito della Nivola (“Nuvola” in dialetto), dal nome di quella sorta di ascensore appunto a forma di nuvola, ornato da pitture e un tempo azionato a mano da argani e carrucole, il cui progetto si dice sia di Leonardo da Vinci. La Nivola sale e ridiscende nel silenzio, mentre vengono letti i brani della Passione secondo Giovanni.

Portata tra le mani dal Cardinale, la croce con la sua preziosa reliquia è l’immagine del sacrificio del Signore, quel salvatore «impalato, inerme, esposto all’annullamento mortale», per usare le parole di Scola. «La grande e venerabile tradizione del Santo chiodo, che noi milanesi ancora sentiamo forte per la bellezza che da essa promana, magari in maniera confusa, ci fa comprendere il significato di questa reliquia di cui già ci parla sant’Ambrogio, che è stata conservata per molto tempo probabilmente in santa Tecla, e ora da secoli in Duomo quella che in rarissime e importanti occasioni portiamo tra le vie della città perché la regga e la benedica. Percepiamo che qui c’è qualcosa di potente perché ha a che fare con il mistero profondo del nostro io, scavando in noi fino a illuminare ogni angolo oscuro, ogni sorta di male fisico e morale. E questo perché il Figlio di Dio ha voluto regnare dal legno della croce, inchiodando a questo legno ogni peccato – Lui che non ha mai conosciuto peccato – portandolo su di sé in nostro favore. Ecco il senso di questa grande festa, che non a caso è chiamata esaltazione della Santa Croce, ecco la Misericordia crocifissa».

«Dio nel Crocifisso capovolge la realtà perché la scopre in tutta la sua nudità e continua a insegnarci quale sia il posto del bene e del male nella nostra vita, come possiamo e dobbiamo leggere le piaghe e le pesti dei nostri giorni di cui i Media ci parlano in termini puramente descrittivi. Sta a noi, immersi nella realtà quotidiana, come lo fu Gesù, trovare il nesso tra il nostro cammino personale e quello comunitario, tra la biografia personale e la storia dell’umana famiglia. Sta a noi non perdere questa occasione per lasciarci denudare nel profondo di noi stessi così che possiamo toccare la tenerezza del Padre, come dice papa Francesco».

È, dunque, il Crocifisso che rende gloriosa la croce: questo significa la risurrezione, suggerisce l’Arcivescovo, che riflette ancora: «Quale espressione potente di tenera trasformazione del nostro io, viene da questo Crocifisso, così che ogni uomo, che non gli si rifiuti, possa essere redento, ricondotto alla sua dignità e portato dalla strada dello smarrimento, della tristezza, della depressione, della disperazione, di nuovo alla speranza e alla gioia».

E anche se talvolta «siamo tentati di ridurre il Crocifisso a qualcosa di aggiustabile ai nostri pensieri e inclinazioni», l’invito è a lasciarsi giudicare dal suo amore «perché svelando la verità, il Crocifisso vuole il nostro bene liberandoci da ogni peste contemporanea e dalla morte stessa».

La strada per ritrovarsi come persone è chiara, sempre aperta e lo scandisce, come una consegna e un auspicio, il Cardinale: «Stiamo con semplicità davanti al Santo chiodo e confessiamo la nostra fede nel Gesù risorto, con coraggio, franchezza libertà e umiltà, nei confronti di tutti nostri fratelli uomini». La risposta immediata dei milanesi è la gran folla che, a conclusione dei Vespri, si inginocchia e prega davanti al Santo chiodo.

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