Il Cardinale ha presieduto la Celebrazione della Passione e Deposizione del Signore in un Duomo gremito. In Cattedrale nel momento dell’annuncio della morte del Signore, proclamato dal cardinale Scola con le parole del Vangelo di Matteo, cala il buio, simbolo di dolore indicibile
di Annamaria BRACCINI
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
Il grido di Gesù che lacera il buio in cui sembra piombare ogni uomo che muore, «perché ogni morte ha il sapore di una condanna e pare la più terribile ingiustizia», irrompe nella Celebrazione del Venerdì santo come un ricordo tremendo della nostra finitudine umana e, insieme, del dolore, in Croce, anch’esso tutto umano e divino di Cristo.
È la Celebrazione della Passione e della Deposizione del Signore, in un Duomo che accoglie tanti fedeli per gesti – nota l’Arcivescovo che presiede il Rito concelebrato dai Canonici del Duomo e dal Vescovo emerito di Lodi, monsignor Giuseppe Merisi – che «danno pienamente il senso di sconforto per il lutto della Chiesa Sposa per la morte del suo Sposo».
Ma questa non è l’ultima parola, perché «il Crocifisso glorioso è sempre presente anche là dove l’uomo, a volte con rabbia, proclama la Sua assenza». Con la rabbia, o meglio, l’empietà dei Sommi sacerdoti e degli anziani di 2000 anni fa cui fa da contraltare la fede del Centurione che riconosce nel Cristo il Figlio di Dio, così come fanno le donne: da qui – nota con squisita attenzione, il Cardinale – l’importanza fondamentale di ogni donna «paradigma non di servizi, ma di essere presi a servizio». Un essere a servizio cruciale anche oggi, contro quell’individualismo esasperato «che è la cifra della nostra cultura occidentale contemporanea, fino a giungere a rivendicare il diritto all’assoluta autodeterminazione anche nella morte, in questo campo dell’umana esperienza. Ma ogni uomo, che si osservi con umile lealtà, riconosce che quello di decidere la propria morte non è autentico potere. Neppure Cristo decise la propria morte. Egli obbedì con libertà alla volontà del Padre ed accettò, come un agnello condotto al macello, l’ingiusta condanna degli uomini».
E questo proprio perché «l’abbraccio dell’Innocente raggiunge ogni uomo che soffre e muore anche nelle condizioni più terribili, umanamente insostenibili: in ogni moribondo, in ogni morto di morte violenta, Egli soffre con loro essendo così unito a ciascuno di essi a formare un solo corpo. Fissiamo perciò lo sguardo sul Crocifisso che, con la sua morte singolare, ha vinto la nostra comune morte per far trionfare la vita. Il silenzio del Sabato Santo sostenga la nostra adorazione della Croce gloriosa», conclude, nell’omelia, il Cardinale.
Poi, l’adorazione della Croce (quella di san Carlo con la reliquia del Santo chiodo venerata da molte decine di migliaia di fedeli nelle Viae Crucis svoltesi, in Quaresima, nelle 7 Zone Pastorali della Diocesi) che in Duomo viene portata in processione dall’ingresso fino all’altare maggiore, mentre gente di tutte le età si inginocchia e prega
Dalla preghiera universale con le sue undici orazioni – che paiono abbracciare il mondo intero, dal Papa ai fratelli maggiori ebrei, dai Cristiani di tutte le Confessioni a chi non crede, dai governanti ai defunti –, si arriva, infine, al ricordo della Deposizione del Signore che guida a contemplare la scena della sua sepoltura. Quando, dopo la lettura dal Profeta Daniele – esempio “di morte e risurrezione” di tre giovani – e la conclusione, ancora del racconto di Matteo della Deposizione nel sepolcro, cala il silenzio e viene velata la Croce.