Il Cardinale ha guidato la Via Crucis per la Zona pastorale VII. Oltre 3000 fedeli hanno seguito la Croce di San Carlo e il Santo chiodo. «Questa Via Crucis ci impone la cura e la riconciliazione»

di Annamaria BRACCINI

«Dobbiamo volerci bene, avere cura gli uni degli altri nella comunione cristiana, perdonarci e sopportarci a vicenda: uniti perché il mondo creda». 
Le parole del cardinale Scola risuonano, in una sera battuta dal vento, tra le 3000 persone che, seguendo la Croce di San Carlo e il santo chiodo, hanno camminato, pregato, riflettuto in silenzio nella Via crucis che si svolge a Sesto San Giovanni, per la Zona pastorale VII. 
L’appuntamento per la gente che si affolla all’interno e fuori la chiesa di San Giovanni Battista, inizia già molto prima dell’avvio della processione articolata nei 4 “quadri”          scelti per l’intera Diocesi: Gesù, caricato della Croce (II stazione); Gesù, aiutato da Simone di Cirene (V); Gesù, inchiodato sulla Croce (XI); Gesù, morto sulla Croce (XII). Tre le soste per il Rito animato dai Gruppi liturgici e delle Corali delle parrocchie cittadine.  
Tanti i religiosi e le suore presenti, i giovani, gli Scuouts, gli operatori degli ospedali cittadini, i volontari delle Associazioni, tra cui, in forze, quelli dell’Oftal e Unitalsi, ma anche della Caritas e San Vincenzo. Oltre 40 i preti con, accanto all’Arcivescovo, il vicario di Zona, monsignor Piero Cresseri e il prevosto di Sesto, don Roberto Davanzo. Non mancano il sindaco Monica Chittò, le autorità civili e militari e il Gonfalone della Città con la Medaglia d’oro di cui Sesto fu insignita per la Resistenza. Al termine del Rito vengono raccolte offerte per il Fondo “Diamo Lavoro”, frutto della rinuncia personale alla cena.  
Attraverso tre soste – presso lo Spazio Arte-Centro Civico “Libero Biagi”, in piazza della Repubblica e davanti alla sede delle Fondazioni “Per la Storia dell’Età Contemporanea” e “Comunitaria nord Milano” –, si arriva sul sagrato della prepositurale di Santo Stefano. 

L’omelia del Arcivescovo

«Battendoci il petto, abbiamo voluto fare memoria dello spettacolo della Croce», dice, all’inizio della sua omelia, il Cardinale in riferimento al brano, appena proclamato, del Vangelo di Luca al capitolo 23, in cui viene narrata la morte di Gesù. 
Chiara la domanda di Scola: «Siamo pronti a tornare alle nostre case battendoci il petto», così come “la folla che era venuta a vedere questo spettacolo”, per usare l’espressione dell’Evangelista?   
Da qui un primo monito all’«amata città di Sesto». 
«Questa Via Crucis gode di un grande privilegio, perché la Croce che abbiamo portato è quella di san Carlo che contiene il Santo chiodo, la reliquia più venerata di tutto il Duomo e non solo. Questo chiodo, un groviglio di ferri, che è penetrato nelle membra ormai esauste di Cristo per una Passione tremenda; Santo chiodo che san Carlo portò a piedi nudi nel 1576 per le strade di Milano, onde far penitenza e guadagnare la soluzione della terribile peste, invocando dal Crocifisso la guarigione della città colpita mortalmente»
«Battersi il petto significa, per ognuno, lasciare che il chiodo della misericordia giunga fino al profondo del nostro cuore così che si possa dire “Signore pietà, perdona i nostri peccati”». 
Di fronte al peccato che «scava tra Dio e noi un abisso, del quale non ci rendiamo nemmeno conto», l’invito è a pensare al sacramento della Riconciliazione, attraverso figure esemplari come la Serva di Dio Leonella Sgorbati, la missionaria della Consolata, che crebbe e maturò la sua vocazione a Sesto San Giovanni e che fu uccisa in Somalia il 17 settembre 2006. «Mentre stava dando la sua vita per Gesù e per la Chiesa, seppe dire per tre volte perdono a chi la stava uccidendo». 
Dal titolo complessivo della Via Crucis zonale, “Si è addossato i nostri dolori” e nel richiamo alle tante piaghe e sofferenze di oggi delineate dalle parole di papa Francesco lette durante la processione, giunge una seconda consegna: «Pensiamo alla stanca e affaticata Europa e a queste piaghe sociali e geopolitiche che, oggi, rischiano di far dimenticare totalmente Dio. Sappiamo benissimo che il venerdì santo dura lungo tutta la storia e tocchiamo con mano le piaghe dei fratelli, le stesse che Cristo porta ora, gloriose, nel suo corpo risorto. Ecco perché questa Via Crucis ci impone un’altra parola, la cura». 
«Dobbiamo volerci bene, avere cura gli uni degli altri nella comunione cristiana, perdonarci e, se del caso, sopportarci a vicenda perché solo nell’unità fraterna possiamo adempiere la missione affidataci dal Signore: uniti perché il mondo creda». 
Poi, un «ultimo e terzo passo da sostenere», l’amore per Sesto e per tutte le città di questa Zona affascinante e delicata. Complessità che domandano di non coltivare nostalgie del passato, ma di guardare al domani con coraggio e responsabilità. 
«Avete un compito civile e sociale da svolgere. Il cristiano è anche un pieno e autentico cittadino, è un uomo civico. La grande Sesto San Giovanni del passato, punto di riferimento del Movimento operaio e per tanta Italia, luogo di dialettiche e di contrasti in nome dell’ideologia è, forse, finito, ma cosa stiamo mettendo al suo posto? Come guardiamo al futuro in una società plurale che ci costringe a vivere insieme? Come lavoriamo per edificare vita buona e una autentica amicizia civica capace di condividere con tutti gli esclusi e gli scartati della società?. È una domanda che fa parte della nostra richiesta di perdono è su cui siamo chiamati a lavorare». 
Questo, il messaggio che la Santa Croce offre «e sono certo – conclude il Cardinale – che lo faremo nostro nei giorni prossimi aspettando il grande dono della visita del Santo Padre da cui attendiamo conferma nella fede e nell’amore. Sotto la croce, Maria stava salda, in piedi, anche se la spada del dolore le aveva trafitto il cuore: guardiamo a Lei e mettiamo ai suoi piedi i dolori, le fatiche, i peccati, la ristrettezza del nostro amore, ma anche gioie e le cose buone. Saprà portarle per noi al Figlio tanto da noi amato e annunciato».   

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