Il cardinale Scola, nella Cappella Arcivescovile, ha reso pubbliche le destinazioni dei 10 nuovi Diaconi ambrosiani ordinati sabato scorso in Duomo. L’Arcivescovo ha ribadito la necessità di «imparare a essere presi a servizio»

di Annamaria BRACCINI

destinazioni diaconi 2016

A otto giorni esatti dall’Ordinazione diaconale in Duomo, arrivano, per i 10 Diaconi ambrosiani 2016, le attese Destinazioni, ossia i luoghi pastorali in cui saranno impegnati in questo anno di cammino verso il Presbiterato e per il successivo quinquennio.
Nella Cappella Arcivescovile contigua agli appartamenti del cardinale Scola, sono in tanti: anzitutto, nelle prime file, i protagonisti della semplice cerimonia, tutti i Vicari episcopali delle 7 Zone pastorali della Diocesi, i parroci e responsabili delle CP cui sono inviati i giovani, gli amici, i parenti, i collaboratori. Per qualche paese, che riceverà il Diacono, c’è anche il Sindaco. Quando, con passo veloce, entra il Arcivescovo, è subito applauso. Lo scambio della pace iniziale, che «scioglie la tensione» apre, come meglio non si potrebbe, la riflessione dell’Arcivescovo.
«La formula che la Diocesi ha scelto come prima destinazione (1+5 anni di permanenza  in una stessa realtà) –, mi pare efficace. Voi, tuttavia – nota il Cardinale rivolgendosi direttamente ai Diaconi – non dovete perdere di vista, ma testimoniare che siete ancora in una fase di cammino. Per questo, lo scopo fondamentale di questo anno è imparare a essere presi a servizio, non è il fare».    
L’invito, per i parroci, «è a non scaricare troppe iniziative su questi ragazzi», ai quali ritorna, subito, lo sguardo del Cardinale: «Assumete questo straordinario, affascinante e impegnativo compito in una fase di cambiamento di epoca, come dice il Papa. Uno dei punti critici del nostro itinerario, nel superamento della frattura tra la fede e la vita che implica l’educazione al pensiero e ai sentimenti di Cristo richiamati nella Lettera pastorale, o conduce all’abolizione della divisione tra la parrocchia e gli ambienti in cui la gente vive o altrimenti non sortirà alcun effetto. Se non c’è il senso della famiglia, del quartiere, del luogo di lavoro, ma il problema è portare tutti sotto il campanile, abbiamo già fallito. Dobbiamo dirlo con grande chiarezza».
Occorre, insomma quell’“uscire”, già raccomandato da Scola all’inizio dell’Anno pastorale l’8 settembre scorso, «che non è fare qualche gesto, ma che deve diventare un’attitudine normale. Con lo stile di vita di comunione e di appartenenza alla Comunità, bisogna accompagnare ciascuno ad assumere, nella prospettiva degli insegnamenti di Cristo, il quotidiano perché è questo che “fa” l’uomo. Se manchiamo il quotidiano, manca la realtà e la nostra proposta diventa una favola.
In questo senso nulla deve spaventare: «Noi non proponiamo noi stessi, ma un Altro. Quindi le fatiche, i conflitti, le ingiustizie e le emarginazioni vanno affrontate con senso di carità, disposti a dare la vita. Chiediamo, almeno come domanda da rivolgere al Signore ogni mattina, questa apertura».
Poi, il momento dell’annuncio delle Destinazioni, con l’immancabile applauso finale, le foto, i selfies in un clima di gioia e allegria generale e l’augurio del Cardinale che, con un sorriso paterno, dice: «Buona avventura!». 

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