Nella 37a tappa della Visita pastorale feriale l’Arcivescovo ha incontrato il Decanato Abbiategrasso. «In terre di antiche tradizioni come le vostre, sappiate essere accoglienti e dialoganti», ha detto
di Annamaria BRACCINI
Lo scambio della pace, la preghiera, il canto, l’applauso sincero dei moltissimi che affollano il CineTeatro e Sala della Comunità L’Arcobaleno aprono la 37a Visita pastorale feriale dell’Arcivescovo, che arriva in Zona VI, a Motta Visconti, per incontrare il Decanto di Abbiategrasso: 28 parrocchie, tra cui due Comunità pastorali, quattro Unità, l’animazione giovanile articolata a livello decanale e una ricca sinergia di iniziative e proposte, specie nel settore caritativo. L’ascolto è «fecondo e reciproco», come auspica il decano, don Piercarlo Fizzotti, accanto al cardinale Scola col vicario di Zona padre Michele Elli e – fatto inedito finora – due laici, la segretaria del Consiglio pastorale decanale e un rappresentante della Caritas decanale.
«Questo è un gesto di consolazione per il Vescovo, perché l’incontro, seppure fugace, con il popolo aiuta il mio ministero», dice subito Scola, ricordando di aver imparato molto da ogni assemblea svoltasi: «Non siamo qui per una riunione, perché i cristiani imitano comunque, con diversi gradi di intensità, la grande assemblea eucaristica. Infatti la forma che le grandi comunità primitive ci documentano è quella di un’assemblea ecclesiale molto diversa dalla riunione fatta da un partito, un sindacato o un’associazione, perché lo scopo non è guadagnare adepti, ma sostenersi nella sequela di Gesù che spalanca il senso grande della vita capace di accompagnare nel quotidiano. Se viviamo un atteggiamento di confessione, come nell’assemblea eucaristica, muta il nostro modo di rapportarci agli altri e alla realtà. Questo deve essere, appunto, il nostro stile».
Dunque, un «salto di qualità», un incontro «diretto e testimoniale» per dare avvio al meglio a una Visita feriale «che deve entrare nella vita normale della Comunità, ponendo gesti semplici in continuità con la Messa di domenica scorsa e con quella della prossima». Visita articolata in tre momenti, con la presenza dell’Arcivescovo, la capillarizzazione mediante l’affronto di un tema specifico e, infine, l’identificazione, sotto la guida del Vicario generale, del passo da compiere nella Comunità. E tutto per superare la frattura tra fede e vita: «Anche se oggi siamo più consapevoli di non essere clienti della Chiesa, ma soggetti, rischiamo comunque di non ragionare secondo lo sguardo evangelico. Quando dobbiamo affrontare questioni fondamentali che tutti condividiamo – il dolore e la gioia, l’educazione dei figli, l’edificazione di una società giusta -, pensiamo e agiamo con la mentalità che soprattutto l’opinione massmediale e corrente ci comunicano. Per questo, attraverso la Visita, vorremmo dare carne alla mentalità di Gesù e ai Suoi sentimenti». Insomma, «un’assunzione di responsabilità perché il gesto eucaristico passi nel quotidiano e non si cada solo nel pensiero mondano».
Poi, le domande. Si parte con «l’inceppamento della trasmissione della fede». «In un territorio come il vostro, dove le tradizioni hanno espresso, per secoli, la Tradizione con la “T” maiuscola, occorre assumere, con coscienza, fenomeni che stanno comportando la trasformazione degli stili di vita, quali il potere che l’uomo sta acquisendo sulla propria genesi, le neuroscienze, la civiltà delle reti, l’immigrazione, con centinaia di migliaia di fratelli e sorelle che stiamo ricevendo da terre provate da guerre, miserie e terrorismo – spiega il Cardinale -. Noi vogliamo affrontare tutto questo cambiamento d’epoca nell’ottica della fede. Per quanto tali prove possano provocare comprensibili sentimenti di ansia e paura, sappiamo di essere sempre accompagnati dal Signore nella storia. Bisogna, allora, assecondare la realtà e la vita, condividendo il bisogno e dilatandolo nel desiderio – come faceva Gesù -, con un soggetto solido che sappia affrontare le sfide cercando di mantenere la continuità tra tradizioni, presente e azioni utili al futuro. La questione è irrobustire il soggetto e inserirlo nel “noi” ecclesiale. Ci metteremo tanto tempo a creare a una presenza sociale e politica in una società plurale, ma questa è la strada per passare da un cristianesimo per convenzione a uno per convinzione: è il soggetto che deve diventare solido con l’immersione nella vita eucaristica e nell’educazione al gratuito».
Si prosegue con gli interrogativi sulla famiglia. «È imprescindibile e decisiva per la vita ecclesiale – scandisce l’Arcivescovo -. Infatti, quale realtà ci permette di guardare meglio a ciò che accade con lo sguardo di Cristo? Non c’è mai stato un tempo come questo, in cui la famiglia, proprio perché spesso è ferita, debba divenire permanentemente evangelizzatrice, proponendo il Vangelo nella vita. La famiglia diventa così soggetto e la nuova forma della Chiesa prende fisionomia, trasformando le relazioni tra noi. Trovatevi, leggete insieme le parole di Francesco nell’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, dialogate con semplicità a partire dai bisogni concreti dei singoli. Questa è anche la via per valorizzare i laici nella Chiesa e fare della famiglia un vera Chiesa domestica. Bisogna accogliere, anche separati e divorziati, con più energia». «Tutti vogliono fare famiglia, la crisi è semmai della coppia. Se voi, che siete il corpo della Chiesa, non testimoniate a tutti la bellezza dell’amore che è per sempre e spalanca alla vita, potrà farlo un gruppo di preti?». Subito, a queste parole, scatta l’applauso.
E, ancora, si parla di oratori e di come farli crescere, perché non siano luoghi di parcheggio, ma spazio dell’incontro personale con Gesù. «Giusto, ma chiediamoci se Cristo per me è un “tu”, una presenza reale o uno spunto, un’idea, un sentimento. Si tratta di coniugare l’identità cristiana con la funzione sociale, ma dobbiamo farlo essendo meno meschini, aprendoci e non chiudendoci nel nostro orticello. Crediamo che l’impegno educativo sia carico di fascino e, per compierlo, occorra appunto la Comunità educante, che non è una struttura in più, ma solidarietà tra tutti coloro che si occupano di ragazzi».
Ultima domanda sull’Islam, «un grande problema non privo di risvolti pesanti e profondi». «Ci deve essere un punto fermo per evitare strumentalizzazioni: noi siamo la famiglia umana creata da Dio. C’è un’unità tra tutto il genere umano che copre l’universalità di tutta la terra, di tutte le religioni ed etnie. La bussola deve essere il nostro rapporto di fratelli e sorelle in Cristo Gesù. Questo è il punto di partenza, su cui articolare poi l’ambito dei diritti, dei doveri e delle leggi. La prima fonte dell’accoglienza e del dialogo è rendersi conto che abbiamo in comune esperienze di base e che il dialogo interreligioso fa parte della nostra esperienza cristiana». Come a dire, se faremo vincere l’ascolto e una vera testimonianza di accoglienza, «riusciremo a vedere il volto del nuovo cittadino europeo».