Parla Jessica Mattarolo, pedagogista ed educatrice, componente della neonata Consulta diocesana chiamata a sensibilizzare e favorire l’inclusione nelle parrocchie

di Luisa BOVE

Consulta disabilità
Incontro a distanza nel centro diurno per persone con disabilità di Cinisello Balsamo

La neonata Consulta diocesana «Comunità cristiana e disabilità. O tutti o nessuno», può contare sul contributo di professionisti come Jessica Mattarolo, pedagogista ed educatrice della cooperativa sociale Arcipelago, che fa capo ad Anffas Nord Milano, ma anche su Livio, Federica e Marco, tre utenti che frequentano il suo Centro per persone con disabilità a Cinisello Balsamo. Prima di approdare all’Anffas, dove è impegnata da quattro anni, Mattarolo ha lavorato all’oratorio di Bresso: «Lì ho promosso il progetto inclusivo degli oratori di Bresso e mi occupavo a 360 gradi delle famiglie con disabilità che arrivavano in parrocchia e che volevano partecipare alla vita cristiana».

E ora qual è il suo ambito di lavoro?
La disabilità adulta. Ci rivolgiamo a persone con disabilità intellettive e relazionali. Quindi abbiamo diversi tipi: dalla sindrome di Down all’autismo, in base alle persone che arrivano. In Anffas abbiamo un approccio olistico, nel senso che ci occupiamo della persona con disabilità in carico a noi, ma indirettamente anche della famiglia con cui teniamo i colloqui durante tutto l’anno. Il nostro è un Centro diurno, quindi i nostri utenti vengono dalle 9 del mattino fino alle 16, e offriamo loro una serie di servizi, anche se in questo momento a causa del Covid sono sospesi. Abbiamo anche un appartamento dove gli ospiti imparano l’autonomia in casa e sperimentano la vita indipendente.

Come valuta oggi l’approccio alla disabilità da parte delle comunità cristiane?
Negli anni sono stati fatti tanti passi avanti e la testimonianza viene anche dalla creazione di questa Consulta, frutto di un lavoro partito alcuni anni fa e che adesso si è consolidato. Ci sono ancora tanti oratori e tanti preti da sensibilizzare. Tuttavia molti oratori sono già predisposti ad accogliere le persone con disabilità e hanno adottato una serie di strategie, avviando anche relazioni sul territorio con le cooperative o i centri specializzati. Altri invece necessitano di iniziare un percorso da zero.

E da dove si parte?
Io dico sempre che il percorso per l’inclusione si fa a piccoli passi, non si diventa inclusivi dall’oggi al domani: si inizia da una forma di integrazione per poi approdare all’inclusione vera e propria. Questo avviene nell’ambiente cristiano, ma anche in tutti gli altri contesti di vita che i nostri utenti frequentano quotidianamente, anche il banale supermercato o il mercato del lunedì mattina che abbiamo di fronte al nostro Centro dove si è passati all’esclusione e all’accoglienza. Sono molti i Centri aperti come il nostro, che fanno esperienze sul territorio, nelle scuole e negli oratori per sensibilizzare e far passare il messaggio ai bambini, ai genitori e a tutte le generazioni che dietro alla disabilità c’è anche un mondo di conoscenze.

Questo significa che l’attenzione alle persone con disabilità non è riservata agli addetti ai lavori, ma tutta la comunità deve farsene carico…
La missione che abbiamo come Consulta e anche noi come educatori negli ambienti di lavoro è proprio quella di seminare uno sguardo diverso all’interno del territorio, là dove la persona con disabilità vuole estendere il suo progetto di vita.

Qual è il suo auspicio rispetto al lavoro in questa Consulta?
Dalla Consulta mi aspetto che la voce delle persone con disabilità sia considerata come un punto di partenza. Il fatto che io sia all’interno della Consulta come pedagogista che media tra la Consulta stessa e tutti i suoi membri e le tre persone con disabilità coinvolte testimonia proprio questo. Si tratta di riadattare i pensieri e svolgere i lavori secondo i ritmi delle persone con disabilità e dei loro desideri. Ciò significa ascoltare le voci dal basso, delle persone con disabilità e delle loro famiglie, per poi trovare una serie di risorse da attivare sul territorio. Finora però è stato fatto un ragionamento diverso, cioè offriamo servizi alle persone con disabilità; invece è esattamente l’opposto, ascoltiamo i bisogni delle persone con disabilità e delle famiglie e attiviamo una serie di servizi. E se questi sono già attivi, portiamoli alla loro conoscenza.

 

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