Parla il responsabile della Consulta diocesana sulla disabilità, chiamata a sostenere le comunità nell'inclusione delle persone fragili: «Non è più raro che un catechista trovi nel gruppo un bambino con un disturbo»
di Luisa
BOVE
Dal 1 ° giugno entra in funzione la Consulta diocesana “Comunità cristiana e disabilità. O tutti o nessuno”, il cui responsabile sarà don Mauro Santoro e il referente don Mario Antonelli, Vicario episcopale per l’Educazione e la celebrazione della fede. La Consulta è costituita da 17 persone scelte secondo i criteri di rappresentanza (Servizio per la catechesi, Pastorale scolastica, Fom, Csi, Caritas ambrosiana) e di competenza (persone con disabilità e genitori di figli disabili, ma anche pedagogisti, medici, psicologi impegnati in questo ambito).
Don Santoro, come si è arrivati a costituire la Consulta sulla disabilità?
Non è altro che l’evoluzione di un tavolo di lavoro di cui ero coordinatore, denominato appunto “Comunità cristiana e disabilità”, creato nel 2015 e poi rientrato nel Servizio per la catechesi della Diocesi. Fin dall’inizio si è affrontato il tema della disabilità con largo respiro, andando ben oltre l’iniziazione cristiana e tenendo conto che il contesto è quello della comunità. L’accoglienza delle persone con disabilità non è questione di buona volontà dei catechisti, spesso anche abbandonati a se stessi, ma riguarda la comunità nei suoi vari ambiti: formazione di fede, tempo libero, oratorio, sport… Le persone con disabilità possono diventare protagoniste, non soltanto fruitrici di un’attenzione nei loro riguardi. Tutto questo ha vissuto il tavolo in cinque anni di lavoro. Poi il passaggio è stato quello di non creare un nuovo ufficio di Pastorale per le persone con disabilità, ma un organismo a tutti gli effetti appartenente alla Curia.
In concreto cosa fate rispetto alle parrocchie, alle comunità, ai Decanati?
Oltre a far sì che le persone con disabilità all’interno della comunità siano accolte, valorizzate e partecipi, la Consulta ha come modalità di azione quella di lavorare con gli uffici già presenti di Pastorale ordinaria, quindi collaborando per creare attività, percorsi di formazione, eventi insieme agli uffici di Curia, Fom, Caritas ambrosiana, Csi in modo sempre più inclusivo. Quando programmiamo qualcosa, dobbiamo partire dai più fragili, solo così riusciamo a includere tutti, se invece diciamo “ci sono anche loro” rischiamo di escludere. Questo è il primo lavoro con gli uffici di Pastorale ordinaria, poi c’è quello sul territorio, con le comunità cristiane, i Decanati, le comunità pastorali. Qui l’impegno è duplice. Anzitutto non è vero che nelle parrocchie non si fa niente e che non c’è attenzione nei confronti delle persone con disabilità, invece c’è già tanto, ma il lavoro va valorizzato e fatto conoscere, così che anche altre parrocchie possano accettare la sfida e mettersi in gioco.
E poi?
L’altro impegno della Consulta è quello di sostenere le comunità che hanno bisogno di aiuto, a partire da singole situazioni. Se per esempio un bambino o un ragazzo chiede di essere accolto, che cosa occorre fare? Noi rispondiamo alle richieste di aiuto delle comunità attraverso la formazione, i consigli e la costruzione di una rete perché è importantissima. La comunità educante deve lavorare in rete sul territorio insieme alla famiglia delle persone con disabilità, scuola, associazioni, strutture di riabilitazione.
Quando si parla di disabilità cosa si intende? Disabili con limiti fisici, cognitivi o altro?
Ormai la forbice si è molto allargata. Parliamo di ragazzi e adulti con disabilità certificata che può essere di carattere fisico, ma anche cognitivo. Poi abbiamo un’alta percentuale di ragazzi con disturbi del neurosviluppo, dell’apprendimento, del linguaggio, del comportamento. Insomma, tutto quello che rientra nel termine “disturbo”. Non dimentichiamo però i bambini con profonde fragilità di carattere psicologico, in questi ultimi anni non è più così raro che un catechista, un allenatore, un animatore dell’oratorio trovi nel proprio gruppo un bambino che, seppure non abbia una disabilità certificata, manifesti qualche forma di disturbo. Non possiamo più far finta di niente, la sfida è quella di accogliere tutti ed è ciò su cui insiste papa Francesco.