L’etica della cura al centro dell’incontro dedicato alla posizione del Cardinale sulle problematiche sanitarie e sull'assistenza ai malati. svoltosi alla Fondazione Ambrosianeum, che l'ha promosso insieme alla Fondazione Matarelli

di Annamaria Braccini

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La salute, le malattia, le relazioni umane nel momento della difficoltà, il rapporto cruciale tra il medico e il paziente; la cura e il prendersi cura anche di se stessi.

È un orizzonte ampio, frangiato in tanti temi e sfaccettature, ma unitario nelle sue linee guida di pensiero, quello che si delinea durante l’affollato incontro promosso dalla Fondazione Ambrosianeum, presso la sua prestigiosa sede, e dalla Fondazione Matarelli, con il titolo «Sanità e Medicina nel pensiero del Cardinale Martini. Fare dell’ospedale un autentico luogo di cura».

Presente l’Arcivescovo – accanto a lui il vescovo monsignor Giuseppe Merisi – medici, tra loro anche il presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani della Sezione di Milano, Alberto Cozzi, terapeuti, accademici e tanta gente, c’è un parterre di relatori di assoluto rilievo.

Introdotti dal presidente dell’“Ambrosianeum”, Marco Garzonio – che è anche analista e psicoterapeuta e che ricorda l’intervento di Martini, il 15 aprile 2002, al Congresso mondiale di psichiatria che si tenne a Milano -, prendono la parola Mariella Enoc, presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, padre Carlo Casalone, presidente della Fondazione Carlo Maria Martini e Mario Colombo, direttore generale Istituto Auxologico Italiano. È lui che osserva: «Il cardinale Martini assiste a mutamenti importanti dalla metà degli anni Ottanta ai Novanta, con la aziendalizzazione della sanità e la logica del privato commerciale, fino al nuovo millennio, con gli sviluppi della medicina e le nuove tecniche applicate alla genetica. Questo vuol dire che ha avuto una visione larga e trovo, nelle sue posizioni, quanto dice l’arcivescovo Delpini nella sua recentissima lettera inviata ai medici, “Caro dottore”. Vi sono. in entrambi. la condanna del profitto economico a tutti i costi e il poco tempo dedicato al paziente, insieme alla necessità di una formazione etica e filosofica del medico. Per il cardinale Martini la malattia ci riporta all’essenziale e ci costringe a leggere il futuro in maniera differente: per questo è necessario, per i pazienti, un sostegno e un aiuto. Il malato non può essere consegnato solo alla medicina – che si occupa del come rimandare la morte -, perché questa non è sufficiente a spiegare il perché della malattia. Occorre un rapporto da persona a persona, con uno stile di comunicazione che sappia rispettare la storia di ciascuno, entrandovi con discrezione».

Evidente l’importanza di tutto ciò, ad esempio, nella comunicazione di una diagnosi infausta per cui occorre, secondo la lezione martiniana, «una progressiva e pedagogica rivelazione della situazione. Si tratta di accogliere che significa fare spazio, con empatia, al paziente. Il tempo da dedicare non è una deroga, ma una necessità».

Forse, davvero, come sosteneva il Cardinale, occorre un esame psicoattitudinale, al di là dei concorsi canonici (come, peraltro, avviene nel caso di altre funzioni), anche per i medici, cambiando così i consolidati riti in quei santuari che si chiamano ospedali, con i loro ritmi e le vesti dei loro sacerdoti, le liturgie proprie …..Basti pensare al discorso, “L’etica dello stato sociale”, tenuto da Martini, all’Università La Sapienza di Roma il 24 novembre 1999 durante la cerimonia d’apertura della Conferenza nazionale della Sanità

La presidente Enoch ricorda lo storico intervento di Martini sul “IlSole24Ore” del 21 gennaio 2007 (si era in pieno “caso Welby”), quando lui stesso spiegò di avere, negli anni, potuto contare sull’attenzione dei medici che gli permisero di poter adempiere nella sua missione di Arcivescovo, pur riconoscendo che i normali cittadini non hanno tutte le possibilità di alcuni privilegiati.

«Dedizione, competenza, spirito di sacrificio e cortesia esistono, ma così pure le difficoltà come le lunghe attese terapeutiche, la discriminazione dell’accesso ai servizi, la negligenza. La tensione verso l’eccellenza sanitaria deve essere un valore da promuovere: non vi è qualità senza ricerca scientifica e formazione professionale. Questi due aspetti fanno dell’ospedale un autentico luogo di cura. Noi dobbiamo rispondere all’autorità morale dei bambini e, comunque, di tutti i pazienti. Questo concetto fondamentale è un richiamo alla responsabilità e non al buonismo con cui ci illudiamo di risolvere tutto e ci interroga anche sul modello di società che vogliamo sviluppare».

Se il nostro sistema sanitario rimane uno dei migliori del mondo e viviamo in una condizione privilegiata, «tuttavia persiste una povertà sanitaria diffusa in forme diverse, come i ritardi e l’odissea di malati orfani di diagnosi, (l’anno scorso il “Bambino Gesù” ha dato nome a una cinquantina di malattie). In questo, la sanità cattolica è un segno di profezia, come lo fu nel Medioevo».

Insomma, l’ospedale è veramente un luogo di cura quando intercetta una domanda e dà risposta, come, per esempio, al sempre più diffuso disagio psichiatrico giovanile con il centinaio di ragazzini che si presentano, all’anno, al Bambino Gesù per tentati suicidi o episodi di autolesionismo.

Da qui «la “Carta dei diritti del Bambino” stilata e diffusa agli ambasciatori europei presso la Santa Sede e che qualche effetto lo ha sortito. Non curiamo i bambini inguaribili, perché se i genitori, in un’alleanza terapeutica, decidono che vanno tenuti in vita senza accanimento, occorre farlo. L’alleanza tra medico e paziente è cruciale, anche con i Cappellani (è stato pure istituito un Comitato di etica clinica) perché non dimentichiamoci che non si prende in cura solo il malato, ma intere famiglie».

Padre Casalone suggella l’incontro: «C’è uno stile che il cardinale Martini impiega nell’affrontare i temi in questione. Scavo delle parole utilizzate nella Parola per descrivere l’esperienza in atto, uso della via dell’icona, che stabilisce un orizzonte, la Lectio. Poi, la formulazione di domande, magari scomode, da affrontare in modo non ideologico. Infine, dare criteri secondo la Dottrina Sociale della Chiesa, arrivando ad azioni concrete».

Ma quali sono i requisiti perché anche, nell’ospedale-azienda, si mantenga la centralità del paziente? «L’incrinatura del rapporto tra privato e pubblico, l’innovazione tecnologica e la complessità di una società contemporanea, che non si presenta più come un tutto coeso, ma per sottosistemi ciascuno con i propri valori e agenda, non aiuta – suggerisce – così come le nuove cure che costano sempre più con il paradosso che non sempre migliorano la vita delle persone».

E allora? Rimangono sempre attuali le parole-chiave del Cardinale: una buona gestione non parcellizzata, la sussidiarietà, la formazione, la verità offrendo il senso che l’uomo dà alla propria vita che va verso la morte, obbligandoci tutti a riflettere sulla definitività dell’esistenza umana.

«In questo, il medico deve aiutare nel momento della malattia, ma anche il paziente è chiamato a percorrere tale strada. Si tratta di una progressiva umanizzazione: una pista importante anche per leggere il dibattito sulle cure, l’accanimento terapeutico e il tema del fine vita».

A conclusione, è il professor Giorgio Lambertenghi Deliliers, presidente della Fondazione Matarelli a ricordare la sua visita (con il professor Giuseppe Anzani) al cardinale Martini, negli ultimi giorni della vita, «quando parlammo delle cellule staminali e ci disse che occorre tenere presente il bene dell’ammalato. Soprattutto negli ultimi suoi anni, abbiamo imparato come comportarci con i malati».

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