Il decennale del secondo dorso di «Avvenire» nelle parole del direttore del quotidiano cattolico Marco Tarquinio: il rapporto con Milano e la Diocesi, ciò che è stato fatto e ciò che resta da fare nei «tempi duri e perciò bellissimi che viviamo»

di Marco TARQUINIO
Direttore di Avvenire

mi73C2

Abbiamo scritto insieme questi dieci anni. Giorno per giorno e di più il settimo giorno: ogni settimo giorno di questa lunga e intensa stagione che ci sta alle spalle, che è nell’esperienza e nella memoria di chi scrive e di chi legge queste righe. Una stagione che ha rinsaldato e fatto più convinto e generoso l’essenziale rapporto tra Avvenire e la Chiesa di Milano, tra Avvenire e Milano Sette, tra Avvenire e Milano.

Milano, Diocesi e città, luogo speciale dal quale si vede bene, e si può capire a fondo, l’Italia intera e si intende il mondo. Milano con la sua anima assediata e tenace in questo tempo scintillante e scorato, e con la sua forza segreta, le sue attese serie, la sua fede solida eppure via via bisognosa di nuovo slancio. E poi, ma prima di tutto, con la gente, i giorni e le opere della Chiesa di Milano: i Pastori, le comunità parrocchiali, gli oratori, la miriade di iniziative e di intraprese frutto della Parola annunciata, spezzata e seminata. Tutto questo abbiamo raccontato e raccontiamo. Continueremo a farlo, grazie alla nostra cronaca quotidiana e con la marcia in più di un Supplemento settimanale così lucidamente e utilmente realizzato dalla bella e brava compagnia guidata in questi anni da don Davide Milani e che presto sarà coordinata da don Walter Magni. Insieme possiamo, ed effettivamente sappiamo, sviluppare meglio una narrazione che è servizio ed è condivisione, che si fa poco a poco storia, componendo i pezzi umili e grandi del bene che accade, quando le mani delle persone di buona volontà si fanno le mani di Dio, e dell’amore che vince quanto i cristiani dimostrano che cosa significa riconoscere e onorare il volto di Cristo.

Quante parole, quante pagine, quanta vita, quanta vicinanza. Anzi – come dice e sprona il vescovo Mario, oggi padre e Arcivescovo in questa Chiesa ambrosiana – viene da dire: quanto «buon vicinato». Un compito cristiano e civile accettato con gioia, nella consapevolezza che il «buon vicinato» è premessa e promessa di fraternità ed è condizione esistenziale e spirituale preziosa eppure resta un’«arte» mai appresa del tutto e, dunque, mai esercitata in modo da sentircene appagati.

Da giornalisti quali siamo, abbiamo naturalmente cercato di fare molto e con convinzione nella città, nella Diocesi e nel territorio che ci è “casa” da mezzo secolo esatto (compiamo i primi cinquant’anni il prossimo 4 dicembre 2018), e che di più siamo riusciti nell’intento da dieci anni in qua (il settimanale Milano Sette ha l’attuale ed efficace formula dal 13 gennaio 2008). Tutti noi, nelle due redazioni, ci rendiamo conto che tanto di buono è stato fatto, e che il più resta da fare. Perché i tempi duri e perciò bellissimi che viviamo ci chiedono con nuova ed esigente insistenza di dare ragione della nostra speranza. E perché un giornale come Avvenire, che è generato dalla comunità cattolica ed è offerto a tutti, vive e serve solo se mantiene salde le sue relazioni fondamentali, coltiva la sua ispirazione, sviluppa la sua vocazione a incontrare e accogliere e comprendere il mondo innanzitutto, cristianamente, facendosi prossimo, cioè – appunto – vicino. Vicino a partire dalla realtà nella quale – per volontà di Paolo VI, un beato Papa che presto chiameremo santo – è sin dall’inizio radicato. Un dono e un dovere di cui siamo felici e grati.

Ti potrebbero interessare anche: