Il sociologo della Cattolica: «Contro emotivismo e slogan, l’Arcivescovo invita a una mediazione che è alla base della crescita e dello sviluppo»
di Pino
NARDI
«Il Discorso alla città coglie bene la sfida che hanno davanti Milano e la comunità dei credenti di non cedere all’allarmismo o agli stati d’animo, al sentimento di paura, cattiva consigliera, che ha colto un po’ tutti. Piuttosto va recuperato l’intreccio tra fede e ragione che è poi la base di crescita e sviluppo: significa fare memoria dei principi che ci tengono insieme, a partire da quelli costituzionali oltre che quelli evangelici, ma anche proiettarli al tempo che viene, evitando di conservarli come forme museali o morte». Mauro Magatti, sociologo dell’Università cattolica di Milano, riflette sul Discorso alla Città pronunciato dall’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, alla vigilia della festa di sant’Ambrogio.
Dal Discorso alla Città emerge una critica al populismo imperante: l’Arcivescovo parla di tornare a pensare, alla ragionevolezza, alla riflessione. Come valuta questo testo?
Mi piace molto il verbo autorizzare («autorizzati a pensare»). Credo che l’autorità – in questo caso è l’Arcivescovo – serva per autorizzare, non nel senso del dare il permesso, ma di sollecitare e sostenere. È molto importante avere un’autorità autorizzante non che blocca, impedisce e controlla, ma che favorisce processi e sostiene i tanti che vogliono partecipare alla costruzione del bene comune. La seconda sottolineatura è che l’Arcivescovo si rivolge a Milano, che sappiamo essere la città in relativa controtendenza rispetto al declino dell’Italia, che in questi ultimi anni anzi, per alcuni aspetti, ha fatto registrare andamenti positivi. Quindi mi sembra significativo che l’Arcivescovo si rivolga a Milano richiamandola alle sue responsabilità: non farsi travolgere dall’emotivismo, dallo sloganismo, da elementi superficiali, ma che sia capace, in linea con la sua tradizione, di riconnettere il cuore e la ragione, uno dei tratti caratteristici del cattolicesimo ambrosiano.
Infatti l’Arcivescovo critica una comunicazione e un dibattito pubblico che alimentano paure e chiusure, che non giovano alla partecipazione democratica…
Sono molti coloro che pensano che le difficoltà che stanno attraversando le democrazie contemporanee hanno anche a che fare con le trasformazioni che si sono prodotte in particolare con i social media, che accentuano e amplificano le emozioni, gli stati d’animo e li rendono uno pseudo-pensiero. Ciò impedisce di pensare ed è proprio rispetto a questa deriva che emerge la forte preoccupazione dell’Arcivescovo.
Dice chiaramente che «non bisogna cercare capri espiatori», in particolare nella questione migrazione, rilanciando altre priorità (crisi demografica, povertà, necessità di lavoro) e soprattutto mettendo in guardia dalle soluzioni semplici a problemi complessi…
Siamo dentro una crisi che conosciamo. L’invito a pensare è un richiamo a una ragione che non è pura ragione calcolante, ma è la capacità di guardare i problemi, di analizzarli, di comprenderli e di avviare processi. Per dirla con papa Francesco, verso soluzioni che naturalmente sono sempre complesse e costose. È chiaramente un richiamo a una ragione come logos, non come calcolo, che poi è una delle grandi cause profonde della crisi in cui siamo: lo spegnimento della ragione con l’esplosione del calcolo consegna all’emotivismo e alla parola slogan. Quindi, c’è dietro una lettura culturale evidente: il cattolicesimo ambrosiano ha proprio questo tratto, la sua capacità di mediare la fede, la carità, il cuore con la modernità, l’innovazione, la conoscenza, la scienza.
L’Arcivescovo rilancia il sogno europeo, sollecitando una ripresa dell’intuizione originale: un’Europa dei popoli e dei valori. Anche questo è un segnale molto forte, in linea con la tradizione ambrosiana…
È un’indicazione significativa anche in vista delle prossime elezioni europee. Delpini cita da una parte il sogno europeo e dall’altra la Laudato si’ di Francesco come punto di riferimento. Questi due elementi sono indicati come piste su cui la comunità cristiana e quella civile sono invitate a lavorare. Mi sembrano due sottolineature importanti, perché danno il senso di una direzione e soprattutto sono due stelle polari molto opportune.
Tra l’altro nel Discorso l’Arcivescovo indica esplicitamente il recupero e il rilancio della Costituzione come base fondamentale della democrazia e del vivere comune…
Il Discorso dell’anno scorso era sul vicinato e sulle relazioni che ci sono più prossime. Quest’anno invece allarga l’orizzonte alla vita civile. Naturalmente vanno visti in relazione. È come se si dicesse: a partire dal recupero del rapporto con l’autorità concreta che tutti noi incontriamo, poi bisogna lavorare per costruire le condizioni civili, istituzionali, economiche-sociali che rendono possibile l’espressione dell’umanità più piena e del bene comune. È significativo sottolineare la continuità tra il vicinato e la vita del modello di sviluppo e delle istituzioni.