Ucraina, dall’estate è in cassa integrazione, mentre il marito, moldavo, si è visto ridurre lo stipendio. E ci sono due figlie da crescere: «Abbiamo dovuto chiedere aiuto ad amici e conoscenti. Ed è grazie all’Emporio della Solidarietà se possiamo fare due pasti al giorno»
di Francesco
CHIAVARINI
«La più grande fa le medie, per comprarle i libri di testo quest’anno ho dovuto chiedere i soldi in prestito ad alcuni amici. Ma per i vestiti le ho dovuto dire di avere pazienza ancora un po’, anche se quelli che ha sono diventati troppo stretti perché nel frattempo è diventata una signorina. Lei si sente a disagio, ma non mi dice nulla. Io però lo capisco e mi si stringe il cuore».
Quello per i libri è solo l’ultimo dei debiti che Larysa, originaria dell’Ucraina, in Italia dal 2005, ha dovuto fare per tirare avanti in questo anno e mezzo di pandemia. Il marito, di origini moldave, lavorava come guarda giurata per un’azienda farmaceutica con un contratto a chiamata 4 giorni alla settimana. Lei faceva invece la scodellatrice in una mensa scolastica. Quando è arrivato il Covid, i giorni di lavoro del marito sono drasticamente diminuiti. Poi a settembre, il contratto non gli è stato più rinnovato. Nel frattempo, lei è stata messa in cassa integrazione, perché con l’avvio della didattica a distanza gli alunni restavano a casa. Per i primi tre mesi non ha ricevuto nessun assegno. In estate finalmente è arrivata prima indennità: 249 euro, la metà dello stipendio. Troppo poco per pagare l’affitto, le bollette del gas e della luce, fare la spesa e comprare i vestiti nuovi alle bambine di 8 e 11 anni, che fortunatamente crescono a vista d’occhio.
«Ho scelto di pagare le bollette perché se non lo fai ti tagliano il gas e la luce – dice -. Ma ho smesso di corrispondere l’affitto: meno male che viviamo in una casa popolare di proprietà del Comune e gli impiegati della MM sono stati comprensivi. Però anche così ho dovuto chiedere aiuto ad amici e conoscenti». E ora sono proprio quei debiti che rendono impossibile tornare alla normalità. Perché lei è rimasta a casa mentre il marito è tornato a lavorare come prima, ma con una paga oraria più bassa, 9 euro all’ora, con la quale non arriva a guadagnare mille euro al mese.
«Non abbiamo mai navigato nell’oro, ma ce l’abbiamo sempre fatta da soli senza chiedere nulla a nessuno. Ma ora, tra i costi della vita e gli arretrati, non ce la facciamo. Meno male che per la spesa posso venire all’Emporio della Solidarietà della Caritas. Grazie a loro riesco a mettere a tavola due pasti al giorno e avanzare qualche euro per acquistare almeno una volta alla settimana una bistecca per le mie bambine. Almeno a questo non vogliamo rinunciare».